Livido di rabbia. Mandibola contratta. Gesticolare agitato. Tono da imbonitore. Atteggiamento aggressivo e spaccone.

Così appare da giorni nei video postati sui social, ripetendo come un disco rotto la solita tiritera contro la formazione del governo giallorosso: pastrocchio, inciucio di palazzo, vergognoso mercato delle vacche, governo dei perdenti e poltronari, parola al popolo sovrano.

Penso sia facile riconoscere in questo sintetico profilo l’ormai ex-ministro dell’interno, il viveur del Papeete beach, il ganassa della Brianza: Matteo Salvini.

Da quando - era l’8 agosto - ha depositato al Senato la mozione di sfiducia nei confronti del governo del quale lui era, di fatto, dominus incontrastato, il Matteo padano ha smarrito del tutto la già poca lucidità mentale di cui madre natura l’ha dotato.

Convinto che gli sarebbe bastato fare un po’ di caciara per costringere il Capo dello Stato a sciogliere le Camere ed indire nuove elezioni, ha confermato ancora una volta quanto crassa sia la sua ignoranza della Costituzione, sul cui rispetto, peraltro, aveva giurato come ministro.

Già ma, preso dal delirio di onnipotenza, rintronato dal solleone di Milano Marittima, inebriato dai molti mojito, il ganassa non aveva considerato che in Italia esistono una democrazia parlamentare, un Parlamento eletto e legittimato dal voto del popolo sovrano solo 18 mesi fa, un Capo dello Stato rispettoso della Carta Costituzionale.

Così, passati i fumi dell’alcol, resosi conto che il mondo reale non è il Papeete Beach, ha capito di essersi scornato da solo infilandosi in un vicolo cieco.

Una strada che lo avrebbe estromesso fatalmente dalle stanze del potere.

Da scafato esperto nel gioco delle tre carte, per far dimenticare ai "grulli" che lo seguono di essere stato lui a staccare la spina al governo gialloverde ha iniziato a scaricare la responsabilità della crisi su Macron e Merkel, su Ursula von der Leyen e Lagarde, sui poteri forti e sui mercati finanziari.

Nel contempo, però, preso dal panico che la pacchia per lui stesse per finire, il Matteo padano ha incominciato ad esibirsi in capriole, piroette e giravolte nel vano tentativo di recuperare il rapporto con il M5S e far rinascere un governo gialloverde.

È arrivato perfino al punto di offrire a Di Maio la poltrona di premier!

Affinché la pacchia durasse ancora un poco, però,  lui che  accusa gli altri di essere soltanto dei poltronari, è rimasto abbarbicato, con i suoi sodali, alle poltrone ministeriali in attesa che arrivino i nuovi ministri a cacciarli a calci nel deretano.

Coerenza tipica di un ciarlatano!

Ma veniamo alle ultime ore.

Persa anche l’ultima speranza che un voto negativo su Rousseau gli consentisse di risollevarsi, Matteo Salvini ha ripreso a fare il bullo e si è rivolto agli italiani con un minaccioso “ci riprenderemo il Paese”.

Ora, non è chiaro se, insofferente della democrazia, intenda riprendersi il Paese invadendolo con quel milione di doppiette padane, di cui parlava a suo tempo Bossi, per rendere l’Italia una colonia dell’impero sovranista (NdR: alla mente ritorna il milione di baionette di mussoliniana memoria).

Oppure se sia in preda all’illusione che gli italiani dimentichino in fretta l’imbarbarimento della vita civile, l’isolamento internazionale, la crisi economica, tra gli effetti delle guasconate salviniane, ed arrivino a concedergli insomma quei poteri assoluti che lui pretende per realizzare il suo sogno: portare finalmente l’Italia nel precipizio.