Quando Mattarella, un anno fa escogitò l’improbabile formula del “governo di alto profilo, che non doveva identificarsi con alcuna formula politica” ha ulteriormente potenziato quel processo di estraniazione dei "politici" dalla vita realtà dei cittadini attraverso un’impersonale conduzione del Paese: i diritti dei cittadini scompaiono insieme alla loro manifestazione di volontà espressa nelle urne. Chi non ricorda il messaggio “mafioso”: “Glielo insegneranno le banche a votare agli italiani!”

L’incapacità di pensare dal punto di vista dell’altro ha portato una classe dirigente a distaccarsi dalla vita reale del Paese, a disinteressarsi dei problemi generali dei cittadini, ad abbandonare le fasce più deboli così che, l’altro escluso da quell’immaginario, scade al pari di un oggetto di uso e consumo, divenendo un mezzo per fare carriera.

Hanna Arendt scandalizzò il mondo quando descrisse la personalità del criminale nazista Eichmann dopo aver seguito il suo processo in Israele, fu colei che coniò l’agghiacciante e tragica diagnosi del personaggio che si può riassumere sinteticamente con “la banalità del male”. Questa donna è riuscita a cogliere un aspetto importante dell’evoluzione del male, da dove trae forza con conseguenze devastanti: se vogliamo difendere noi stessi dobbiamo difendere gli altri come parte di noi altrimenti ricalchiamo il modello nazista che ha dato vita ad uno stato di diritto deviato e criminale, nel quale l’eccidio veniva legalizzato da una magistratura sottomessa e consenziente.

Il processo di spersonalizzazione dell’essere umano come soggetto attivo con caratteristiche uniche proprie ha lo scopo di troncare la comunicazione paritaria con l’altro che conseguentemente assume forma diversa dall’umana, così banalizzato la vittima scende di classe, viene portato a livello di bestia da macello. Addirittura si celebra la forma più devastante della superstizione: la colpevolizzazione dell’innocente che ridotto a pura entità astratta diviene la causa delle disgrazie di una collettività com’è accaduto in Germania con il nazismo che ancora perdura e si evolve all’interno di molte società democratiche minandole pericolosamente.

Hanna Arendt seguì il processo del criminale nazista Eichmann il responsabile della “soluzione finale” degli ebrei e concluse con una controversa analisi della personalità dell’imputato. La Arendt a mio avviso non fu “spettatrice” dell’agire del criminale ma si pose al suo interno cogliendo un aspetto che ad altri sfuggiva. Supera l’orrore di “comunicare” con l’interiorità di un individuo che poco aveva di umano; ebbe il coraggio e la sensibilità di superare l’apparenza per cogliere la causa prima che spinse un uomo ad un tale disumano comportamento e, a mio avviso, riuscendoci perché scelse di partire dai fatti risalendo all’elemento interiore e non viceversa.

Ne “La banalità del male” la Arendt definisce Eichmann “un burocrate ordinario, addirittura noioso” per questo non poteva essere “né perverso, né sadico”, ma banalmente normale.  Era un burocrate che eseguiva acriticamente gli ordini che gli venivano impartiti esclusivamente per fare carriera. Eichmann non “capì mai cosa stesse facendo per la sua inabilità a pensare dal punto di vista di qualcun altro”. A causa della mancanza di questa capacità introspettiva “commise i suoi crimini in circostanze che gli resero quasi impossibile capire o sentire cosa stesse facendo di male”. Questo stato di “incoscienza morale” gli aveva provocato una dissociazione dalla realtà scellerata dei suoi atti. La sua abissale irriflessività e mediocrità lo hanno spinto a compiere atti orrendi per opportunismo, l’analisi mostra un individuo privo di motivazioni personali che cerca e trova uno scopo nel nazismo che abbraccia acriticamente per assicurarsi una carriera e non per un personale e cosciente convincimento ideologico. 

Nel 1971, dieci anni dalla conclusione del processo, la Arendt scriveva: “Restai colpita dalla evidente superficialità del colpevole, superficialità che rendeva impossibile ricondurre l’incontestabile malvagità dei suoi atti a un livello più profondo di cause o di motivazioni. Gli atti erano mostruosi, ma l’attore – per lo meno l’attore tremendamente efficace che si trovava ora sul banco degli imputati – risultava quanto mai ordinario, mediocre, tutt’altro che demoniaco o mostruoso.”

Forse rimane più facile comprendere l’analisi della personalità di Eichmann che fece la Arendt se si considera il personaggio principale de “Lo straniero” di Albert Camus pubblicato nel 1942 che dopo aver ucciso per caso un essere umano non prova alcun rimorso. Non vi è alcuna intenzionalità né movente: “è solo successo e basta”.

Quanto si cela delle caratteristiche descritte dalla Arendt nelle personalità degli attuali “uomini di potere” e dei loro gregari? Ogni anno muoiono di fame milioni di individui, altri vengono ridotti in schiavitù, altri subiscono ingiustizie e violenze: quanti “Eichmann” senza scrupoli operano indisturbati e protetti per amore della carriera e del profitto? Ce ne sono in grande quantità anche in Italia.