Cool hunter in inglese significa  cacciatore di tendenza, un attento occhio che  registra quanto accade negli ambienti vip, nel mondo dell’arte,  annota le  impressioni più vive girando fra le vie della metropoli e nei luoghi di incontro  alla moda . Nella sua essenza  il cool hunter è un misantropo, detesta la confusione e tutto ciò che insegue la massa,  considerata oggetto informe, utile solo alla sua  previsione, ovvero riuscire a comprendere le prospettive verso cui si muove. Nasce spontaneo il confronto fra le generazioni , se non altro per capire dove arriva la cultura e con lei la politica e con entrambe la società.

Nell’immediato dopoguerra l’indimenticabile Humphrey Bogart, sigaretta in bocca, cappello sulle ventitré, con  uno stritolante abbraccio  baciava   labbra fiammanti e dalle lunghe ciglia palpitanti ( un femminile quasi sempre senza  parole nonostante il cinema avesse da tempo introdotto il sonoro). Bogart fu grande influencer,  fu idolo di una generazione di maschio autoritario che, con uno  sguardo trasversale, sottintendeva il suo potere. E tutti ad identificarsi con  Casablanca e con la sua innamorata, agganciata  all’immancabile cappottone del divo!

Il veloce cammino  dell’ Italia che puntava alla  ricostruzione,  dimenticarsi delle macerie prodotte dalla guerra, ricreare la solidità degli edifici di città dove poter vivere, la sicurezza soprattutto, che presupponeva la solidità della famiglia con altrettanti stabili ruoli maschile femminile. Mentre alla radio  Fred Buscaglione cantava  che bambola e che ne aveva sposato una  piccola così …

Furono ritmi  rock and roll, mio padre lo ballava benissimo, persino con una marlboro d'importazione fra le labbra, le mogli volevano mariti “ganzi” e con posti sicuri,  gli anni 60  arrivarono in fretta e misero  i bigodini sulla testa  delle donne, desiderose di elettrodomestici, lucidatrici,  televisioni, transistor, automobile, nessuno doveva restare senza.

La cultura ha questo compito fondamentale: spingere la riflessione sul sovvertimento dei  costumi, dei ruoli, aprire o chiudere lati della personalità su cui agisce l’identificazione. Il sogno  fu l’energia e la velocità, la pepata Rita Pavone, la faccia pulita di Gianni Morandi, ma soprattutto la seicento, i ponti in cemento armato che permisero la rapidità di collegamenti, la frenesia di arrivare …

Negli anni settanta. Questa è la parte che mi delizia di più nello scorrere l’album dei ricordi, che  le foto ricordo le fanno i parrucchieri, i sarti e i cantanti; la mia infanzia con la Carrà,  l’adolescenza con Lucio Battisti e la  disco music , i capelli corti, i jeans strettissimi,  nelle mie vene lo spirito di rivoluzione e di parità pulsava con sete di giustizia, si ammirava ma  ancora non si toccava  con  mani, l’uguaglianza fra i sessi, in senso di opportunità. La rivoluzione culturale propose -  fino ai primi anni 80 -  modelli in cui identificarsi ma nei contesti lavorativi le donne continuavano ad esistere con ruoli secondari e subordinati, emergere con le proprie capacità era quasi impossibile. Jane fonda si dava un gran da fare con la ginnastica, muscoli tonici, spalle larghe,  sfilavano sulle passerelle giacche da uomo obbiettivo manager che, tradotto in tutte le lingue, significa il potere. Unisex. Culturale. Per la maggior parte delle donne, essere sedute dietro una scrivania con segretari del sesso complementare al seguito, fu solo un utopia da inseguire segretamente. 

Negli anni novanta fu cancellato, a mio avviso, il termine stile, se per stile intendiamo  l’estetica dei linguaggi dell’arte come  interprete del pensiero collettivo: la nuova traiettoria  non fu più l'estetica ma la cosmetica.  Società globalizzata e con una crescente perdita di ideologia. Ben presto con le tasche vuote.

Spaurita e impreparata ai grandi spostamenti migratori, la società è testimone di un paradosso che, culturalmente, la vede da un lato mischiarsi con nuove religioni usi e costumi, dall’altro  attiva nella comunicazione e nelle relazioni   con i social network, lontana e al riparo dal contatto fisico. Nell’illusione dell’avvicinamento,  le distanze sono siderali.

Ed ecco apparire i nuovi modelli di felicità, Chiara Ferragni bella bionda che fa tutto al posto di niente, e la sua metà Fendez, stratatuato rapper, originario di Potenza, più piccolo di lei di qualche anno, avesse finito almeno il liceo …! Applauditi dalle masse, loro sì che ce l’hanno fatta, a farsi seguire con gli smartphone senza neppure muoversi da casa per andare a lavorare,  a farsi eleggere le nuove icone con milioni di like ogni giorno.

 Se il modello di stile rappresenta le forme culturali, da Bogart a Ferragnez, si è passati dal  jazz ad una società che muove il suo ventre al ritmo del  tribalismo di strada, ed io che  non so neppure un titolo di queste  canzoni rap, annoto i miei pensieri sul notes del tempo.