La strada dell'inferno è lastricata di buone intenzioni e fedele alla tradizione la celebrazione del 25 aprile, lungi da essere avvenimento destinato a compattare gli italiani nell'idea di libertà e giustizia conquistate anche con il sangue di tanti partigiani, è ormai diventata occasione di scontro politico e non.
Il paese continua a dividersi su tutto oltre che sul ruolo della "resistenza" vista da alcuni come momento di sublime riscatto dopo gli sfaceli fascisti e da altri come avvenimento con protagonisti che accanto all' obiettivo di liberare il paese da una dittatura avevano l'altro (per loro più importante) di consegnarlo ad una dittatura ancora peggiore.
Ci si accanisce sul chi a detto cosa e su chi non ha detto cosa.
Divisivo appare il ruolo dei partigiani, visti da alcuni come determinanti per la cacciata dei tedeschi e chi invece attribuisce questo merito esclusivamente alla preponderanza delle forze armate alleate.
C'è chi enfatizza e c'è chi minimizza poi il periodo oscuro della "guerra civile" immediatamente scatenatasi dopo il 25 aprile (appunto) in cui si ebbero innegabili vendette da parte dei "vincitori" nei riguardi dei "vinti" (Giampaolo Pansa mi lasci passare la citazione).
C'è chi enfatizza e chi minimizza il fatto innegabile che dopo la cessazione delle ostilità le forze partigiane "rosse" invece che riconsegnare le armi, le nascosero in attesa dell'annunciata e auspicata rivoluzione comunista guidata dalla Russia di Stalin.
Alle celebrazioni di piazza poi si continua ad assistere alle polemiche sull'ANPI e sulla partecipazione della brigata ebraica, in polemica per l'attuale posizione di Israele nei confronti della questione palestinese.
E si potrebbe continuare.
Stando così le cose non sarebbe meglio porre fine alle "celebrazioni"? Lasciare il tutto alla storia, andare avanti ed evitare i tanti: "per non dimenticare" e gli immancabili: "perché questo non si ripeta" che visti gli eventi internazionali risuonano vuote dichiarazioni di routine prive di qualunque effetto pratico?