La Meloni al congresso della Cgil per far credere (inutilmente) che il suo governo non sia così brutto come sembra
Venerdì la premier Meloni è andata al Palacongressi di Rimini, invitata dal segretario Landini, ad illustrare al Congresso nazionale della Cgil i temi che il suo governo ha affrontato e ha intenzione di affrontare.
L'invito di Landini, come lui ha spiegato per introdurre Giorgia Meloni, era motivato dall'ascolto reciproco, in modo da poter trovare in fase di contrattazione dei possibili punti d'incontro tra visioni politiche non proprio coincidenti. Se io voglio essere ascoltato, è il succo di quanto ha detto Landini, allora devo anche saper ascoltare.
La Meloni si è presentata a Rimini - accolta con freddezza dalla platea e da alcuni delegati che hanno abbandonato la sala cantano Bella Ciao - per ribadire, in sostanza, le ovvietà che già abbiamo imparato a conoscere.
Innanzitutto, che quello che lei fa è solo per il bene degli italiani, a partire dagli ultimi (!!!), che nessuno ha mai provato a fare quello che lei ha intenzione di fare e che, oltretutto, è disposta ad ascoltare e dialogare con tutti per mettere in atto le proprie riforme... salvo poi fare ugualmente ciò che aveva deciso fin dall'inizio. Questo non lo ha detto, ma ormai l'abbiamo capito.
Fin qui, per carità, niente di molto diverso da quello che avrebbe detto un altro presidente del Consiglio intervenendo al congresso di un qualsiasi sindacato.
La Meloni non ha però rinunciato alla solita propaganda quando, ad esempio, ha difeso la bocciatura del Reddito di Cittadinanza, descrivendone i percettori come dei giovani pensionati, dimenticandosi però di ricordare che non lo ha abolito, ma solo sostituito con una misura analoga volutamente peggiorativa, che finisce solo per danneggiare le persone che hanno bassi redditi o ne sono privi.
E questo è lo spirito della sua politica. Dice di voler fare il bene del Paese, ma i primi ad essere beneficiati sono quelli che hanno di più.
La ripartizione della ricchezza secondo Meloni l'abbiamo già vista con l'abbassamento del cuneo fiscale (una presa in giro per il lavoro dipendente), con la revisione delle pensioni che finisce per favorire chi già prendeva molto, e adesso con la riforma fiscale, con cui vuole ridurre le aliquote finendo per ridurre la progressività, avendo bene in mente la necessità di soddisfare in qualche maniera l'attuazione della flat tax propagandata in campagna elettorale, in barba a ciò che dice la Costituzione.
"A parità di reddito, tutti e tutte dovrebbero pagare le stesse tasse. Già oggi non è così, il reddito quello da lavoro dipendente e da pensione viene tassato di più di quello frutto di rendite o lavoro autonomo.Secondo gli estensori della delega per la riforma fiscale, riducendo e disboscando detrazioni e deduzioni, che nel bilancio dello Stato sono elencate alla voce tax expenditure, si garantirebbe progressività. Non solo questa affermazione è tutta da verificare, secondo la Cgil, perché se si riducono le detrazioni delle spese sanitarie o di quelle per l'istruzione si fa peggio. Se le tax expenditure vanno ridotte, tale taglio va effettuato sugli incentivi alle imprese, che dal 2015 a oggi hanno cubato quasi 200 miliardi con risultati molto scarsi.Chi pagherà il welfare? Certo non le imprese. Secondo la delega, l'Ires – l'imposta sui profitti delle imprese – sarà ridotta, e l'Irap, quella con cui si finanzia il servizio sanitario regionale, sarà abolita. Come si vede torna la logica della riduzione del gettito – guarda caso a favore di imprese e non di lavoratori dipendenti e pensionati – che inevitabilmente si porterà dietro un ulteriore restringimento del perimetro pubblico dello Stato. Davvero il contrario di ciò che serve alla luce di quanto dovremmo aver imparato dalla pandemia". (fonte Cgil)
La Meloni è solo l'esempio, peggiore, della destra vista in Italia negli ultimi anni, caratterizzata da una base ideologica che si rifà al nazionalismo, che in Europa ha aperto le porte alla seconda guerra mondiale.