«Il M5S mi insulta perché ho votato come loro, il Pd perché non ho votato come loro dopo aver loro stessi minacciato di non sostenere von der Leyen se si fosse azzardata a dialogare con me. E tutti insieme insultano i partiti del centrodestra per aver votato in modo difforme, esattamente come hanno fatto loro. La credibilità della predica si valuta sempre anche dall’autorevolezza del pulpito».

Così la povera vittima per eccellenza di tutto quanto accade in Italia, la (post) camerata Giorgia Meloni, ha commentato il no alla ricandidatura di von der Leyen da parte dei parlamentari di FdI eletti in Europa. Non soddisfatta, Meloni, che ormai è diventata la riproposizione in carne e ossa di Ercolino sempre in piedi visto che ad ogni caduta (di stile, di scelta, di contenuti, di forma, di...) pretende sempre di rialzarsi come se niente fosse accaduto, anche puntando il dito sugli errori degli altri per giustificare i suoi, prosegue:

«Penso di avere fatto una scelta di coerenza, non sulle mie posizioni, ma rispetto alle elezioni europee. Mi fa sorridere come alcuni osservatori non tengano minimamente in considerazione che cosa i cittadini hanno chiesto con il loro voto dell’8 e 9 giugno. Noi personalizziamo sempre, ma il tema non è von der Leyen sì o no, il tema è quali siano le priorità di cui l’Europa deve occuparsi».

Inutile, pertanto, pretendere di ascoltare da Meloni delle parole almeno di dubbio sul suo operato. Lei non sbaglia mai, e nel caso fosse costretta ad ammetterlo, l'errore sarebbe colpa di altri o, comunque, lei non avrebbe fatto niente di diverso da ciò che hanno fatto anche i suoi avversari.

Ma quel che Meloni non ha detto è che se i partiti dell'opposizione sono divisi, quei partiti non sono al governo e la loro possibilità di influenzare le decisioni in Europa, che riguardano soprattutto Consiglio e Commissione, sono molto ridotte, se non nulle. Infatti, in Consiglio e Commissione contano i rappresentanti del governo e quelli indicati dal governo.

Per questo il no al voto alla ricandidatura della von der Leyen non è irrilevante, visto che sarà lei a formare la nuova Commissione. Lo dice lo stesso Tajani, di Forza Italia, i cui parlamentari hanno appoggiato la ricandidatura della presidente uscente:

«In Europa il Ppe ha vinto, darà la linea e darà le carte. E noi staremo nella cabina di comando. Come vicepresidenti di Metsola sono stati eletti dei conservatori, non dei patrioti, che ancora una volta si dimostrano ininfluenti. Il problema è che anche i patrioti italiani rischiano di essere ininfluenti all'interno dei patrioti europei».

Tajani ha lanciato una frecciata a Meloni non citando il voto di ECR alla von der Leyen, ma ha lanciato una bordata a Salvini definendo la Lega e il gruppo dei Patrioti orbaniani ininfluenti a Bruxelles.

In maniera sprovveduta, la Lega ha replicato in questi termini: «Votare con la Schlein per una poltrona è imbarazzante. Meglio senza vicepresidenti che con Verdi e sinistre».

Una volta ricevuto l'assist, Tajani ha messo la palla in rete: «Qualcuno dice che abbiamo votato come Schlein e i Verdi, potrei dire che chi ha votato no ha votato come Salis e Conte. Ma sarebbe una risposta puerile. Noi abbiamo fatto una scelta coerente».

Non c'è bisogno di aggiungere altro per dimostrare le divisioni all'interno della maggioranza e per far presente che queste divisioni peseranno a breve... a partire dall'Europa e, successivamente, non potranno non avere un peso anche a Roma.

L'Italia avrà certamente almeno un incarico nella prossima Commissione. A questo punto Tajani, che è l'unico nel governo ad aver votato von der Leyen, accetterà passivamente e di buon grado che il candidato dell'Italia sia un candidato meloniano?