Il 25 aprile rappresenta per l’Italia una data importante ed iconica, simbolo della Liberazione dal nazifascismo e della riconquista della libertà e della democrazia. Ogni anno, celebriamo quei valori conquistati con il sangue e il coraggio di donne e uomini che scelsero la Resistenza. Eppure, oggi, a quasi un secolo da quei giorni drammatici, sorge spontanea una domanda: siamo davvero liberi?
Il retrogusto amaro di questa domanda nasce da un malcontento diffuso, che si nutre di burocrazia paralizzante, di un sistema fiscale percepito come ingiusto, di una politica che appare sempre più distante e inefficace. La libertà conquistata nel 1945 aveva un sapore concreto: non solo la fine della dittatura, ma anche la speranza in un paese più giusto, equo e solidale. Oggi, però, molti cittadini si sentono nuovamente imprigionati, non da un regime, ma da meccanismi altrettanto opprimenti.
Siamo formalmente liberi di esprimerci ma ogni parola rischia di diventare oggetto di querele per diffamazione. Il confine tra critica e censura sembra assottigliarsi, e il dibattito pubblico si muove spesso su un filo sottile che separa il diritto alla parola dal timore di ritorsioni legali. La censura moderna non indossa più la divisa del regime: ha il volto asettico delle carte bollate.
Anche il diritto di voto, una delle più alte conquiste democratiche, sembra aver perso la sua forza trasformativa. I cambiamenti invocati dai cittadini sembrano restare lettera morta, come se una cortina opaca separasse la volontà popolare dalle decisioni reali. I governi cambiano, ma le condizioni dei più deboli restano spesso immutate o addirittura peggiorano. Non è un caso se oltre il per cento degli aventi diritto al voto disertano ogni tipo di elezione.
L’Italia appare sempre più come un paese che fa la voce grossa con i deboli – i lavoratori dipendenti, i pensionati, i giovani precari – e china il capo di fronte ai poteri forti, alle lobby, ai grandi interessi finanziari. Il fisco colpisce duramente chi ha meno strumenti per difendersi, mentre elusione ed evasione restano piaghe ancora lontane dall’essere debellate.
Le diseguaglianze si sono accentuate. La pensione è diventata un traguardo che si allontana sempre di più, mentre i salari stagnano e il costo della vita cresce. Le nuove generazioni vivono nella precarietà, con la sensazione di dover lottare ogni giorno per ciò che dovrebbe essere garantito: casa, lavoro, salute, dignità.
Ricordare il 25 aprile significa anche interrogarsi sul senso della libertà oggi. Se da un lato abbiamo guadagnato diritti inalienabili, dall’altro non possiamo ignorare le nuove forme di oppressione, spesso più subdole e meno riconoscibili. La democrazia non è solo un’eredità: è una conquista quotidiana, che richiede vigilanza, partecipazione e soprattutto giustizia sociale.
Essere liberi dal fascismo non basta. Dobbiamo essere liberi nel presente. Liberi dalla paura, dalla disuguaglianza, dall’impotenza. Solo così daremo un significato autentico alla parola “Liberazione”.