A Palazzo delle Esposizioni in Roma è in corso dall’11 febbraio al 2 giugno una mostra dedicata a Jim Dine (Cincinnati, USA, 1935). Si tratta di una circostanziata mostra antologica costruita in stretta collaborazione con l’artista e curata da Daniela Lancioni, curatrice senior dell’Azienda Speciale Palaexpo. 

Sono oltre 80 le opere esposte, datate dal 1959 al 2018, provenienti da collezioni pubbliche e private, europee e americane. 

L’apparato iconografico restituisce la memoria visiva dei celebri happening raccontati in mostra dalla voce dello stesso Jim Dine. Una selezione di video interviste, infine, consente di familiarizzare con la figura dell’artista. 

Si tratta di uno dei maggiori protagonisti dell’arte americana, il cui lavoro, radicale e innovativo, ha avuto un grande impatto sulla cultura visiva contemporanea, in particolare su quella italiana degli anni Sessanta. 

 

Jim Dine rimane un artista non catalogabile segnatamente per la sua volontà d’indipendenza e per il suo rifiuto di immedesimarsi nelle categorie della critica, della storia dell’arte e del mercato. Sono esemplari l’autonomia e la libertà con le quali da sempre si rapporta al panorama dei valori accertati. 

L’esposizione dei lavori è preceduta da una biografia dell’artista stampata sul muro e corredata da una selezione di fotografie. I suoi contenuti possono essere acquisiti grazie a un QR code in modo da  accompagnare i visitatori e le visitatrici durante l’intero percorso della mostra che è ordinato secondo un criterio prevalentemente cronologico. 

Si comincia con piccoli dipinti su tela e acquarelli datati 1959, in ciascuno dei quali campeggia una testa isolata dal corpo (Head). Lo stesso soggetto riapparirà a conclusione del percorso espositivo ingigantito in un dittico del 2016 (Two Large Voices Against Everything). 

 

Segue un focus dedicato agli happening. Per la realizzazione di questa sezione della mostra è stata condotta un’approfondita ricerca delle fonti iconografiche negli archivi che detengono le immagini dei maggiori fotografi attivi negli anni Cinquanta e Sessanta sulla scena artistica downtown di New York: Robert R. McElroy, Fred W. McDarrah e Peter Moore. Le immagini fotografiche reperite sono esposte insieme a un commento audio appositamente registrato dall’artista per la mostra romana. 

Un ampio spazio è dedicato ai dipinti datati tra il 1960 e il 1963, attraverso i quali i visitatori hanno l’opportunità di familiarizzare con i temi noti dell’arte di Dine: gli strumenti di lavoro, la tavolozza del pittore, gli indumenti. Opere differentemente basate sulla presenza degli oggetti, sulla sensualità della pittura, sul dato analitico rilevato dal disegno o sulla dimensione ambientale. Sono esposte a Roma alcune delle opere considerate i suoi capolavori, come Window with an Axe del 1961, Black Shovel del 1962, Four Rooms del 1962, costituito da quattro grandi tele e da elementi dislocati nello spazio, e Two Palettes in Black with Stovepipe (Dream) del 1963. 

Inoltre è possibile vede esposti  cinque degli otto lavori presentati alla Biennale di Venezia del 1964, tra le icone più note dell’artista, oltre a Four Rooms e Black Shovel, Shoe del 1961, White Bathroom del 1962 e The Studio (Landscape Painting) del 1963. 

Una tappa della mostra è dedicata ai lavori degli anni 1964 e 1965, in particolare alle sculture di alluminio (Red Axe, Large Boot Lying Down entrambi del 1965) e a quelle opere dove l’artista affida il suo autoritratto agli indumenti svuotati dalla figura, tra le altre Stephen Hands Path del 1964, My Tuxedo Makes an Impressive Blunt Edge to the Light e British Joys (A Picture of Mary Quant), entrambi del 1965. 

Ai noti Cuori di Jim Dine è dedicata una sala, con alcune delle opere realizzate a Putney nel Vermont nell’inverno del 1970-1971. Sarà, inoltre, esposto il grande cuore di paglia (Straw Heart) insieme alla mano verde (Green Hand), opere apparse nella mostra “Nancy and I at Ithaca” all’Andrew Dickson White Museum of Art di Ithaca (New York) del 1967. 

Nell’ultima delle sei sale intorno alla rotonda del Palazzo delle Esposizioni è esposta Black Venus del 1991 (scultura derivata dal modello della Venere di Milo, cui Jim Dine lavora a partire dalla fine degli anni Settanta) e altre opere diversamente riconducibili a modelli dell’arte del passato. 

La mostra prosegue con una selezione di opere degli anni più recenti e si conclude con una folla di Pinocchi, sculture in legno realizzate a partire dai primi anni Duemila. Tale reiterata presenza svela la predilezione di Jim Dine per il personaggio di Carlo Collodi, creatura meravigliosa portatrice dell’antica metamorfosi dell’inanimato che prende vita. 

Un nucleo importante della mostra è costituito dalle opere che Jim Dine ha donato tra il 2017 e il 2018 al Musée national d’art moderne – Centre George Pompidou di Parigi e che l’istituzione francese ha reso generosamente disponibili per quest’occasione. 

Cospicui sono i prestiti delle opere storiche provenienti da collezioni europee, private e pubbliche, tra queste ultime il Museo di Ca’ Pesaro Venezia e il MART, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto (entrambi questi musei prestano opere della collezione Sonnabend), il Louisiana Museum of Modern Art a Humlebaek in Danimarca, il Kunstmuseum Liechtenstein a Vaduz, il Musée d’art moderne et contemporain de Saint-Etienne Métropole. 

Una selezione di opere proviene dagli Stati Uniti, tra cui i due celebri dipinti degli anni Sessanta A Black Shovel. Number 2 (1962) e Long Island Landscape (1963), appartenenti alle collezioni del Whitney Museum di New York. Dalle collezioni americane arriveranno anche Shoe del 1961 e The Studio (Landscape Painting) del 1963, presentati entrambi dall’artista alla Biennale di Venezia del 1964.  (#carlomarinoeuropeannewsagency)