La smania di potenza dello Zar lo ha portato ha compiere atti che sfuggono ad ogni regola di buon senso.

L' invasione dell' Ucraina, ha fallito nella preparazione effettiva. Putin era rimasto ai tempi della guerra in Georgia (2008), che si era risolta in poco più di 10 giorni, ed aveva portato alla nascita di due Repubbliche “indipendenti”: Abcasia ed Ossezia, non riconosciute come tali dalla comunità internazionale. Oppure alla successiva annessione della Crimea (2014) operazione risultata ancora più facile. 
Il nostro pensava che non ci sarebbe stato nemmeno bisogno di muovere le truppe per puntellare gli annessionisti: quella parte della popolazione filo russa per cultura e tradizioni,  che sognava di tornare nelle braccia di Mosca. Era stato sufficiente armare le milizie e far partecipare soldati russi senza insegne – i fantomatici “omini verdi” – alle operazioni militari di controllo del territorio e quindi mobilitare l’apparato repressivo nel successivo referendum di annessione, da tutti ritenuto illegale. Ed il gioco era fatto. Semplice e facile, quasi come bere un bicchier d’acqua.

Nelle più recenti vicende del Donbass, tuttavia, le cose avevano preso fin dall’inizio una piega diversa. Putin doveva essere, come minimo, consapevole, della durezza di quegli scontri. L’accusa rivolta contro l’intelligence del suo Paese, per non averlo informato degli eventuali pericoli, è stata una scusa banale. L’unica precauzione era stata quella di utilizzare truppe siberiane e cecene, oltre che i mercenari, per evitare possibili contatti di fratellanza con le popolazioni invase. Scelta che si era dimostrata essere controproducente per l’impreparazione soprattutto etica di quei militari. Neolanzichenecchi privi di etica, morale e lealtà che devono comunque sussistere anche durante conflitti armati.

Tremendo errore di Putin è stato Bucha. L’aver consentito ai suoi comandanti di comportarsi come macellai, senza far nulla per prevenire i massacri indiscriminati della popolazione civile. Ed ancora più oscene, se così si può dire, le giustificazioni fornite. Il sostenere che quei massacri altro non erano che una grande messinscena. Una sorta di macabro reality show messo su per infangare il nome delle sue truppe di occupazione. 

Ancora più devastante l' errore sul teatro europeo. Il gruppo di Visegrad (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria e Cecoslovacchia) se non è morto, almeno non gode più la salute di un tempo. Le sue pulsioni anti europee hanno dovuto cedere il posto alla realtà, ed ai pericoli rappresentati dalla presenza dell’ex Orso sovietico. Segno evidente che la ragnatela dei rapporti, che l’intelligence russa aveva costruito con i vari movimenti populisti, in Europa, è entrata in una crisi che appare irreversibile. Se si analizzano questi risultati, compresi l' allargamento della NATO e la ricompattazione dell'Europa (che ha cessato di essere la bella addormentata)  la sconfitta di Putin con il suo isolamento sul piano internazionale, appare evidente.                                                                             

Esclusa la Cina, costretta a fare di necessità virtù, ma che rischia sempre più di essere coinvolta in un gioco che non è in grado di controllare, le sponde offerte alla Russia sono state quelle di un coacervo di Paesi che hanno votato più contro gli USA, che non a favore di Putin. Paesi come l’Iran, il Vietnam, Cuba o la Korea del Nord.

Occorre prendere atto che un lungo ciclo della storia è terminato. E che le nuove fratture geopolitiche richiedono una diversa predisposizione in tema di armamenti, nel segno dell’antico detto “si vis pacem, para bellum” (se vuoi la pace, prepara la guerra).

Idea che non sarà apprezzata da quel pugno di pacifisti “senza se e senza ma” da sempre iscritti d’ufficio nella lista degli utili idioti. Al servizio permanente effettivo del potere dispotico del dittatore di turno.