Lo scorso 4 ottobre, Dale Vince, imprenditore che opera nella green economy, l'avvocato Jo Maugham e la parlamentare dell'SNP Joanna Cherry si erano rivolti alla scozzese Court of Session - che già aveva sentenziato illegittima la proroga del Parlamento chiesta da Johnson alla regina - perché provvedesse ad agire legalmente nei confronti di Boris Johnson se si fosse rifiutato di dar corso alle indicazioni approvate ad inizio settembre con il Benn Act, la legge che impedisce l'uscita del Regno Unito dall'Ue senza un accordo.
Il giudice incaricato, Lord Pentland, si è espresso oggi sul caso dichiarando che al momento non ci sono elementi per supporre che il premier non rispetterà quanto richiesto dal Benn Act, cioè l'invio di una lettera all'Unione europea per chiedere una nuova proroga della scadenza per la Brexit (presumibilmente a gennaio 2020), se un accordo non venisse raggiunto entro il prossimo 31 ottobre.
Pertanto, la richiesta dei ricorrenti che chiedevano un intervento della Court of Session è stata respinta. Il giudice Pentland, in base alla documentazione che Downing Street ha inviato alla sua attenzione, ha sentenziato che "non c'è alcun dubbio" che il primo ministro abbia intenzione di rispettare quanto indicato nel Benn Act, ritenendo pertanto non necessari "ordini coercitivi" contro il governo del Regno Unito o contro il suo primo ministro.
Il problema, però, è che Johnson, tramite dichiarazioni pubbliche, ripetutamente e ben chiaramente, ha affermato l'esatto contrario di quanto la documentazione da lui inviata alla Court of Session possa dimostrare, impegnandosi, giurando e spergiurando che la Gran Bretagna uscirà dall'Unione europea il prossimo 31 ottobre... con o senza un accordo sulla Brexit!
Come tutto ciò possa finire per essere considerato rispettoso dei limiti imposti dal Parlamento al Governo, tramite il Benn Act, è ancora tutto da capire.