Non è mai facile riuscire a far parlare una donna che subisce violenza. Ci sono la vergogna, la paura di ritorsioni, l’illusione che tutto passi. Per la prima volta a squarciare il velo su tormenti e sofferenze è una donna che quasi trent’anni fa è entrata in magistratura. E mai avrebbe pensato di essere vittima del suo (ormai) ex marito: 17 anni di umiliazioni e violenze che, da fisiche, si sono, con i passare dl tempo, trasformate in persecuzioni compiute con un’arma diversa: la legge.

Le violenze sia verbali, che fisiche si sono invece ripetute durante il matrimonio, intensificate con la nascita del primo figlio e peggiorate dopo la nascita del secondo. Violenze mai registrate e tantomeno denunciate, per vergogna, pudore, paura delle reazioni e stupida speranza che non si ripetessero.

Dopo diciassette anni, la sofferta scelta della separazione, appunto per violenza domestica (tre anni di giudiziale, poi sfociata in consensuale, quando - dopo varie archiviazioni - un giudice ne ha richiesto il giudizio per molestie e falso). Poi di corsa il divorzio, subito preteso da lui, per risposarsi. La sua separazione risale ad oltre 13 anni fa.

"All’epoca, si parlava poco di violenza domestica, ed io, che sul lavoro sono una guerriera - ha dichiarato la vittima - avevo pensato di proteggere la mia famiglia col silenzio, confidandomi solo con familiari e pochi amici intimi. Senza immaginare, nonostante la mia professione di magistrato, che questa sarebbe diventata un’arma ulteriore nelle mani del mio ex, sempre attento a mostrare fuori una gentilezza affettata."

La particolarità è che i prtagonisti di questa vicenda indossano tutti e due una toga, tanto che lui, al momento della separazione, ha gridato subito ti rovino.

La violenza non si ferma, si trasforma. Non sono più ceffoni, mani al collo ed insulti, ma la persecuzione continua, per vie diverse... con l’accanimento giudiziario.

"Ha iniziato una serie di giudizi, durati anni, che, con decisioni tra loro contrastanti, hanno portato addirittura allo sfratto di una parte della casa coniugale - ha raccontato la protagonista della vicenda. - Lo sfratto è stato preceduto da ben 15 accessi di un ufficiale giudiziario nell’arco di poco più di un anno.

Nonostante la pendenza di un giudizio per stabilire come eseguire questo anomalo sfratto, il solerte ufficiale giudiziario tornava ogni mese a citofonare (eppure, a Roma è difficile ottenere anche un solo accesso di un ufficiale giudiziario per sfrattare inquilini morosi); ed è stato eseguito (senza avvisare il mio legale) con uno squadrone di circa 20 persone, con tanto di forza pubblica, fabbro ed operai, che avrebbero addirittura buttato giù la porta blindata, se non avessero trovato a casa nio figlio influenzato. Sembrava l’assalto al bunker di un mafioso."

Questo racconto riportato dal Corriere della sera speriamo non resti nel dimenticatoio ma che apra un dibattito. Le vittime di violenza hanno bisogno di aiuto e la giustizia non dovrebbe far finta di non capire. voltandosi dall’altra parte. Ci sono danni psicologici che nessuna cifra risarcirà mai, come afferma Gianluca Santoni, e spesso la giustizia è troppo lenta e poco attenta nel ascoltare.