Il numero di marzo del mensile dell’Osservatore Romano, «Donne Chiesa Mondo» contiene una strepitosa inchiesta sullo sfruttamento delle suore «al servizio di uomini di Chiesa»: preti, cardinali, maschi.
L’inchiesta, firmata da Marie-Lucile Kubacki, raccoglie le testimonianze – di grande livello politico – fatte da tre suore a cui è stato cambiato il nome: Suor Marie, Suor Paule e Suor Cécile.
Sotto forma di anonimato ci guidano alla scoperta del lato più invisibile della forza lavoro: quello di cura, fatto al servizio di preti, nel mondo parallelo e intangibile delle gerarchie ecclesiastiche.
Sono storie di donne provenienti dall’Africa nera, ad esempio, che servono nelle case di alti prelati romani, altre lavorano in cucina in strutture della chiesa. Altre ancora insegnano o svolgono compiti di catechesi. La loro denuncia è chiara: contro il lavoro gratuito, o quasi, a cui sono costrette. Non esiste orario di lavoro preciso e regolamentato. La retribuzione, quando esiste, è aleatoria.
Su questa denuncia pesa la realtà dello sfruttamento del lavoro femminile e la sua "invisibilizzazione" causata dal patriarcato e, in questo caso, dal «clericalismo». Ovvero: «il prete è tutto mentre la suora non è niente nella chiesa». . «Le suore di vita attiva – sostiene Suor Cécile – sono vittime di una confusione sui concetti di servizio e gratuità. Sono viste come volontarie di cui si può disporre a piacere, il che dà luogo a abusi di potere».
Si tratta della denuncia di quella che Cristina Morini, nei saggi sulla «femminilizzazione del lavoro», ha definito la «logica adattativa/sacrificale/oblativa», portato culturale dell’esperienza storica femminile. Le religiose auspicano che la denuncia della povertà e della sottomissione a cui sono indotte sia «un’occasione per una riflessione sul potere» nella chiesa.
E, va aggiunto, anche fuori.