Nel discorso tenuto questo lunedì ai membri del corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede per gli auguri di inizio anno, papa Francesco ha ricordato che quest’anno ricorre il sessantesimo anniversario dell’Enciclica Pacem in terris di S.  Giovanni XXIII, pubblicata poco meno di due mesi prima della sua morte, elencando i conflitti attualmento in corso nel mondo.

Negli occhi del “Papa buono” era ancora vivo il pericolo di una guerra nucleare, provocato nell’ottobre 1962 dalla cosiddetta crisi dei missili di Cuba. L’umanità era a un passo dal proprio annientamento, se non si fosse riusciti a far prevalere il dialogo, consapevoli degli effetti distruttivi delle armi atomiche.Purtroppo, ancora oggi la minaccia nucleare viene evocata, gettando il mondo nella paura e nell’angoscia. Non posso che ribadire in questa sede che il possesso di armi atomiche è immorale poiché – come osservava  Giovanni XXIII – «se è difficile persuadersi che vi siano persone capaci di assumersi la responsabilità delle distruzioni e dei dolori che una guerra causerebbe, non è escluso che un fatto imprevedibile ed incontrollabile possa far scoccare la scintilla che metta in moto l’apparato bellico». Sotto la minaccia di armi nucleari siamo tutti sempre perdenti, tutti!Da questo punto di vista, particolare preoccupazione desta lo stallo dei negoziati circa il riavvio del Piano d'azione congiunto globale, meglio noto come Accordo sul nucleare iraniano. Auspico che si possa arrivare al più presto ad una soluzione concreta per garantire un avvenire più sicuro.Oggi è in corso la terza guerra mondiale di un mondo globalizzato, dove i conflitti interessano direttamente solo alcune aree del pianeta, ma nella sostanza coinvolgono tutti. L’esempio più vicino e recente è proprio la guerra in Ucraina, con il suo strascico di morte e distruzione; con gli attacchi alle infrastrutture civili che portano le persone a perdere la vita non solo a causa degli ordigni e delle violenze, ma anche di fame e di freddo. Al riguardo, la Costituzione conciliare Gaudium et spes, afferma che «ogni atto di guerra, che mira indiscriminatamente alla distruzione di intere città o di vaste regioni e dei loro abitanti, è delitto contro Dio e contro la stessa umanità e va condannato con fermezza e senza esitazione». Non dobbiamo dimenticare poi che la guerra colpisce particolarmente le persone più fragili – i bambini, gli anziani, i disabili ­– e lacera indelebilmente le famiglie. Non posso che rinnovare quest’oggi il mio appello a far cessare immediatamente questo conflitto insensato, i cui effetti interessano intere regioni, anche fuori dall’Europa a causa delle ripercussioni che esso ha in campo energetico e nell’ambito della produzione alimentare, soprattutto in Africa ed in Medio Oriente.La terza guerra mondiale a pezzi che stiamo vivendo ci porta a considerare altri teatri di tensioni e conflitti. Anche quest’anno, con tanto dolore, dobbiamo guardare alla Siria come a una terra martoriata. La rinascita di quel Paese deve passare attraverso le necessarie riforme, anche costituzionali, nel tentativo di dare speranza al popolo siriano, afflitto da una povertà sempre crescente, evitando che le sanzioni internazionali imposte abbiano riflessi sulla vita quotidiana di una popolazione che ha già sofferto tanto.La Santa Sede segue anche con preoccupazione l’aumento della violenza tra palestinesi e israeliani, con la conseguenza drammatica di molte vittime e di una totale sfiducia reciproca. Particolarmente colpita è Gerusalemme, città santa per ebrei, cristiani e musulmani. La vocazione iscritta nel suo nome è di essere Città della Pace, ma purtroppo si trova ad essere teatro di scontri. Confido che essa possa ritrovare tale vocazione ad essere luogo e simbolo di incontro e di coesistenza pacifica, e che l’accesso e la libertà di culto nei Luoghi Santi continui ad essere garantito e rispettato secondo lo status quo. Allo stesso tempo, auspico che le autorità dello Stato d’Israele e quelle dello Stato di Palestina possano ritrovare il coraggio e la determinazione nel dialogare direttamente al fine di implementare la soluzione dei due Stati in tutti i suoi aspetti, in conformità con il diritto internazionale e con tutte le pertinenti risoluzioni delle Nazioni Unite.Come sapete, alla fine del mese, potrò finalmente recarmi pellegrino di pace nella Repubblica Democratica del Congo, con l’auspicio che cessino le violenze nell’est del Paese e prevalga la via del dialogo e la volontà di lavorare per la sicurezza e il bene comune. Il pellegrinaggio proseguirà in Sud Sudan, dove sarò accompagnato dall’Arcivescovo di Canterbury e dal Moderatore Generale della Chiesa Presbiteriana di Scozia. Insieme desideriamo unirci al grido di pace della popolazione e contribuire al processo di riconciliazione nazionale.Non dobbiamo neppure dimenticare altre situazioni in cui continuano a pesare le conseguenze di conflitti non ancora risolti. Penso in particolare alla situazione nel Caucaso meridionale. Esorto le parti a rispettare il cessate il fuoco, ribadendo che la liberazione dei prigionieri militari e civili sarebbe un passo importante verso un desiderato accordo di pace.Penso, altresì, allo Yemen, dove regge la tregua raggiunta nell’ottobre scorso ma tanti civili continuano a morire a causa delle mine, e all’Etiopia, dove auspico che continui il processo di pacificazione e si rafforzi l’impegno della Comunità internazionale per affrontare la crisi umanitaria che interessa il Paese.Seguo con apprensione pure la situazione in Africa Occidentale, sempre più afflitta dalle violenze del terrorismo. Penso, in particolare, ai drammi che vivono le popolazioni del Burkina Faso, del Mali e della Nigeria e auspico che i processi di transizione in corso in Sudan, Mali, Ciad, Guinea e Burkina Faso si svolgano nel rispetto delle aspirazioni legittime delle popolazioni coinvolte.Seguo parimenti con particolare attenzione la situazione del Myanmar, che ormai da due anni sperimenta violenza, dolore e morte. Invito la Comunità internazionale ad adoperarsi per concretizzare i processi di riconciliazione ed esorto tutte le parti coinvolte a riprendere il cammino del dialogo per ridonare speranza alla popolazione di quell’amata terra.Penso, infine, alla penisola coreana, per la quale auspico che non vengano meno la buona volontà e l’impegno per la concordia, al fine di costruire la tanto desiderata pace e la prosperità per l’intero popolo coreano.Tutti i conflitti pongono comunque in rilievo le conseguenze letali di un continuo ricorso alla produzione di nuovi e sempre più sofisticati armamenti, talvolta giustificata «adducendo il motivo che se una pace oggi è possibile, non può essere che la pace fondata sull’equilibrio delle forze». Occorre scardinare tale logica e procedere sulla via di un disarmo integrale, poiché nessuna pace è possibile laddove dilagano strumenti di morte.

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Infine, costruire la pace esige che non via sia posto per «la lesione della libertà, dell’integrità e della sicurezza di altre nazioni, qualunque sia la loro estensione territoriale o la loro capacità di difesa». Ciò è possibile se in ogni singola comunità non prevale la cultura della sopraffazione e dell’aggressione, che porta a guardare al prossimo come ad un nemico da combattere piuttosto che ad un fratello da accogliere ed abbracciare.Desta preoccupazione l’affievolirsi, in molte parti del mondo, della democrazia e della possibilità di libertà che essa consente, pur con tutti i limiti di un sistema umano. Ne fanno tante volte le spese le donne o le minoranze etniche, nonché gli equilibri di intere società in cui il disagio sfocia in tensioni sociali e persino in scontri armati.In molte aree, un segno di affievolimento della democrazia è dato dalle crescenti polarizzazioni politiche e sociali, che non aiutano a risolvere i problemi urgenti dei cittadini. Penso alle varie crisi politiche in diversi Paesi del continente americano, con il loro carico di tensioni e forme di violenza che acuiscono i conflitti sociali. Penso specialmente a quanto accaduto recentemente in Perù e, in queste ultime ore, in Brasile, e alla preoccupante situazione ad Haiti, dove si stanno finalmente compiendo alcuni passi per affrontare la crisi politica in atto da tempo. Occorre sempre superare le logiche di parte e adoperarsi per l’edificazione del bene comune.Seguo, poi, con attenzione la situazione in Libano, dove si è ancora in attesa dell’elezione del nuovo Presidente della Repubblica e auspico che tutti gli attori politici si impegnino per consentire al Paese di riprendersi dalla drammatica situazione economica e sociale in cui versa.Eccellenze, Signore e Signori,sarebbe bello che una volta ci potessimo ritrovare solamente per ringraziare il Signore Onnipotente per i benefici che sempre ci concede, senza essere costretti ad elencare le situazioni drammatiche che affliggono l’umanità. Come diceva Giovanni XXIII: «È lecito tuttavia sperare che gli uomini, incontrandosi e negoziando, abbiano a scoprire meglio i vincoli che li legano, provenienti dalla loro comune umanità e abbiano pure a scoprire che una fra le più profonde esigenze della loro comune umanità è che tra essi e tra i rispettivi popoli regni non il timore, ma l’amore: il quale tende ad esprimersi nella collaborazione leale, multiforme, apportatrice di molti beni». Con questi auspici, rinnovo a voi e ai Paesi che rappresentate i più fervidi auguri per il nuovo anno.