Pochi giorni fa il presidente dell'Anac (Anticorruzione) Busia, ha presentato al Parlamento la relazione annuale sull'attività svolta dall'agenzia nel 2022.
In un comunicato, l'Anac ha riassunto così l'intervento di Busia in cui sono stati lanciati degli allarmi su alcuni argomenti di attualità:
Tra i temi affrontati il Pnrr e la necessità di una sua rinegoziazione, l'eccessivo utilizzo di deroghe e soglie alte nel nuovo Codice appalti “scorciatoie meno efficienti e foriere di rischi”, i pericoli del subappalto a cascata, i freni dell'ingresso di donne e giovani negli appalti Pnrr, la non introduzione nel Codice dell'obbligo di dichiarare il titolare effettivo, come richiesto da Anac.Sul Pnrr “decisiva sarà la rinegoziazione di alcune misure”, ha detto Busia. “Non tutti gli investimenti hanno la medesima urgenza. Per questo possono essere utilmente spostati su altri finanziamenti europei. Il Pnrr deve essere terreno condiviso, sottratto alla dialettica politica di corto respiro. Precondizione di tutto ciò è la massima trasparenza e controllabilità dei progetti e dello stato degli investimenti”.Sul nuovo Codice Appalti, Busia ha ripetuto: “La deroga non può diventare regola, senza smarrire il suo significato e senza aprire a rischi ulteriori. Nel tempo in cui, grazie all'impiego delle piattaforme di approvvigionamento digitale e all'uso di procedure automatizzate, è possibile ottenere rilevantissime semplificazioni e notevoli risparmi di tempo, accrescendo anche trasparenza e concorrenza, sorprende che per velocizzare le procedure si ricorra a scorciatoie certamente meno efficienti, e foriere di rischi. Tra queste, l'innalzamento delle soglie per gli affidamenti diretti, specie per servizi e forniture, o l'eliminazione di avvisi e bandi per i lavori fino a cinque milioni di euro”.Forte il richiamo del Presidente Anac alla qualificazione delle stazioni appaltanti, indispensabile per la modernizzazione dell'Italia e raggiungere standard europei. “Solo le amministrazioni in grado di utilizzare le più evolute tecnologie possono gestire le gare più complesse e procedure quali project financing e dialogo competitivo”. “Le potenzialità insite nella riforma – ha aggiunto il Presidente Anac - sono state, tuttavia, limitate innalzando a 500.000 euro la soglia oltre la quale è obbligatoria la qualificazione per l'affidamento di lavori pubblici, col risultato di escludere dal sistema di qualificazione quasi il 90% delle gare espletate”. “Non possiamo più sostenere un'architettura istituzionale in cui tutte le 26.500 stazioni appaltanti registrate possano svolgere qualunque tipo di acquisto, a prescindere dalle loro capacità. Occorre una drastica riduzione del loro numero, unitamente alla concentrazione delle procedure di affidamento in alcune decine di centrali di committenza specializzate, diffuse sul territorio, che diventino centri di competenza al servizio delle altre stazioni appaltanti. Si tratta di una necessità, non solo per rispondere all'obiettivo posto dal Pnrr, ma anche per assicurare procedure rapide, selezionare i migliori operatori e garantire maggiori risparmi nell'interesse generale”.Busia ha poi messo in guardia sui rischi del “subappalto a cascata”. “Il nuovo Codice appalti – ha detto - ha eliminato il divieto del “subappalto a cascata”. Non possiamo dimenticare che tale istituto, per poter conservare una ragione economica, quasi sempre porta con sé, in ogni passaggio da un contraente a quello successivo, una progressiva riduzione del prezzo della prestazione. E questa necessariamente si scarica o sulla minore qualità delle opere, o sulle deteriori condizioni di lavoro del personale impiegato. Quando il ricorso al subappalto non è giustificato dalla specificità delle prestazioni da realizzare, mentre può risultare vantaggioso per il primo aggiudicatario, si rivela il più delle volte poco conveniente per la stazione appaltante, per i lavoratori e per le stesse imprese subappaltatrici, che vedono via via compressi i propri margini di profitto, rispetto a quanto avrebbero ottenuto come aggiudicatarie dirette”.Quanto all'obbligo di dichiarare il titolare effettivo nelle gare pubbliche, Busia ha rimarcato: “Purtroppo, si è persa l'occasione di introdurre nel Codice, nonostante i numerosi solleciti, l'obbligo per gli operatori economici di dichiarare il titolare effettivo dell'impresa, rafforzandolo con adeguate sanzioni per l'omessa o la falsa dichiarazione. Gli enti pubblici devono conoscere i soggetti con cui intrattengono rapporti contrattuali, al di là degli schermi societari. Speriamo che il legislatore voglia presto colmare tale mancanza, in linea con quanto richiesto dalla normativa internazionale, anche in materia di antiriciclaggio”.Sul lavoro di donne e giovani negli appalti Pnrr, il Presidente Anac ha sottolineato: “Ci siamo impegnati per la migliore implementazione della disciplina sulla parità generazionale e di genere nei contratti pubblici, che mira a garantire migliori prospettive occupazionali alle donne e ai giovani in settori del mercato altrimenti difficilmente accessibili. Tuttavia, i dati confermano che quasi nel 60% degli appalti sopra i 40.000 euro e nel 44% di quelli sopra i 150.000 euro, le stazioni appaltanti non hanno inserito, nei bandi, le relative clausole”. Per quanto riguarda il Decreto sul Ponte dello Stretto, Busia ha ribadito: “Rileviamo uno squilibrio nel rapporto tra il concedente pubblico e la parte privata, a danno del pubblico, sul quale finisce per essere trasferita la maggior parte dei rischi. Il recente decreto-legge, sulla base di un progetto elaborato oltre dieci anni fa, ha riavviato l'iter di realizzazione del ponte tra Sicilia e Calabria. Sono stati, da parte di Anac, proposti alcuni interventi emendativi volti a rafforzare le garanzie della parte pubblica, non accolti, tuttavia, dal Governo in sede di conversione del decreto”.
In pratica, il presidente dell'Anac ha sottolineato con la matita blu (quella per gli errori gravi o gravissimi) gran parte delle decisioni prese negli ultimi mesi principalmente dal ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini.
Un Salvini che, anche nelle dichiarazioni delle ultime ore, continua invece ad incensarsi per quanto da lui fatto, dichiarando che il Paese riparte "se si tolgono lacci e lacciuoli"...
Busia, dal suo punto di vista, non è affatto contrario, ad esempio, a velocizzare gli appalti e a semplificarne le regole. Ha solo fatto notare che quanto prodotto da Salvini finirà per avere delle conseguenze negative, sia per i costi di realizzazione delle opere, sia per la qualità di ciò che verrà costruito.
Prendiamo il codice degli Appalti. Cos'è che all'Anac non va giù?
"La deroga - sostiene Busia - non può diventare regola, senza smarrire il suo significato e senza aprire a rischi ulteriori. Nel tempo in cui, grazie all'impiego delle piattaforme di approvvigionamento digitale ed all'uso di procedure automatizzate, è possibile ottenere rilevantissime semplificazioni e notevoli risparmi di tempo, accrescendo anche trasparenza e concorrenza, sorprende che per velocizzare le procedure si ricorra a scorciatoie certamente meno efficienti, e foriere di rischi [come] l'innalzamento delle soglie per gli affidamenti diretti, specie per servizi e forniture [e] l'eliminazione di avvisi e bandi per i lavori fino a cinque milioni di euro. Sempre in relazione al codice, Busia critica anche il subappalto a cascata perché "quasi sempre porta con sé, in ogni passaggio da un contraente a quello successivo, una progressiva riduzione del prezzo della prestazione [che] si scarica o sulla minore qualità delle opere, o sulle deteriori condizioni di lavoro del personale impiegato [oltre a costituires pesso] la porta di ingresso per la criminalità e le mafie ovvero per altre forme di malaffare.[E poi nel codice manca anche] l'obbligo per gli operatori economici di dichiarare il titolare effettivo dell'impresa, rafforzandolo con adeguate sanzioni per l'omessa o la falsa dichiarazione".
Ma anche il decreto che sta alla base del Ponte sullo Stretto è problematico.
"[L'Anac ha rilevato uno squilibrio nel rapporto tra il concedente pubblico e la parte privata, a danno del pubblico, sul quale finisce per essere trasferita la maggior parte dei rischi, [nonostante fossero stati suggeriti] alcuni interventi emendativi volti a rafforzare le garanzie della parte pubblica, [che in sede di conversione del decreto il governo ha deciso di non accogliere].[Busia, sul ponte, fa presente anche che]il decreto evita la gara e vincola la parte pubblica a un contratto vecchio di 10 anni che non si può modificare. Tutti i rischi vengono scaricati sulla parte pubblica, mentre dovrebbe accadere il contrario se di mezzo c'è un general contractor. ...Il problema peraltro è a monte. Resuscitando il contratto per legge si mette in mano al privato una potentissima arma legale per far valere le sue ragioni nel contenzioso avviato contro lo Stato. Così aumenta il rischio di dover pagare ingenti somme se l'opera non si farà".
Busia ha anche parlato di Pnrr:
"Secondo la Terza relazione sullo stato di attuazione del Pnrr, al 28 febbraio 2023, gli investimenti finanziati con le risorse del Piano si sono fermati a circa 25 miliardi di euro, meno del 14% dell'ammontare complessivo previsto e parte significativa di questi ha potuto essere realizzata in quanto già avviata prima dell'approvazione del Piano", [aggiungendo che "sebbene sia fisiologico che gli investimenti si concentrino nella fase conclusiva del Piano, è evidente che la salita d'ora in poi sarà particolarmente ripida".
Inutile dire che le reazioni di Salvini nei confronti di Busia sono state negative, denigratorie, quasi al limite della diffamazione. Ma non c'è da sorprendersi, visto quanto accaduto tra Fitto e la Corte dei Conti.
Il Governo Meloni è evidentemente allergico a qualsiasi autorità di controllo indipendente che, in base al ruolo, esprima giudizi tecnici su ciò che l'esecutivo decide. Quando queste autorità scrivono e pubblicano le loro relazioni mettendo in luce le manchevolezze di Meloni e dei suoi ministri, allora le autorità vengono esautorate o, se non è possibile farlo, i loro rappresentanti vengono ridicolizzati, con il supporto della stampa di regime che svolge il compito di servo sciocco, ben oltre il ridicolo, utilizzando propagandisti travestiti da giornalisti.
Questo è ciò che avviene in qualsiasi "democratura", solo che in Italia non si può dire che il Paese stia diventando una "democratura", perché i (post) fascisti pretendono che gli italiani non debbano distinguere la differenza che passa tra governare e comandare.