Le poche, ma secche ed inequivocabili parole che Sergio Mattarella ha pronunciate a conclusione della inutile e sconfortante due giorni di consultazioni, per gestire la crisi di governo in atto, dimostrano quanto il Capo dello Stato sia rimasto amareggiato nel constatare la inadeguatezza della classe politica in un momento così difficile e gravoso per il Paese.

Eppure avrebbe dovuto essere evidente a tutti che fissando il giro di consultazioni a poche ore dalle dimissioni del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, il Presidente della Repubblica aveva inviato un messaggio forte e chiaro, alle forze politiche, per far presente che lui non intende perdere tempo perché il Paese, in questo momento, non può sostenere le conseguenze di una vacatio governativa.

Il Capo dello Stato, infatti, dovrà prendere con urgenza una non facile decisione.

O riuscirà, nel giro di pochi giorni a dare un nuovo governo all’Italia, oppure dovrà procedere allo scioglimento delle Camere e ad indire nuove elezioni appena 18 mesi dopo la tornata elettorale del 4 marzo 2018.

Già la inspiegabile insensatezza di questa crisi, innescata da una delle due forze politiche al governo, la Lega, per motivi mai dichiarati ma solo per la generica smania di tornare alle urne, la dice lunga sulla meschinità, irresponsabilità ed inadeguatezza di coloro ai quali sono affidate le sorti di 60 milioni di italiani.

Meschinità, irresponsabilità ed inadeguatezza che hanno trovata conferma nel nulla di fatto con cui si è conclusa questa due giorni di consultazioni.

Tralascerei di commentare i vaniloqui di FI e FdI, politicamente irrilevanti, focalizzando l’attenzione su quanto sono stati capaci di esprimere, invece, i 3 partiti dai quali Mattarella si attendeva un concreto concorso per la soluzione della crisi.

Ad essere salita in mattinata, al Quirinale, per essere ricevuta nello Studio della Vetrata dal Presidente della Repubblica è stata la delegazione del PD guidata dal segretario Nicola Zingaretti.

Checché ne dica Zingaretti il partito continua ad essere tormentato dal suo dualismo con Renzi che, ancora una volta, si è reso protagonista della scena politica proponendo per primo il possibile governo PD-M5S.

Il segretario non lo ha gradito, anche perché, in caso di elezioni anticipate, compilando le liste dei candidati Zingaretti avrebbe modo di ridimensionare quella che per lui è la molesta presenza dei renziani nel partito e nei gruppi parlamentari.

Fatto sta che la delegazione PD si è presentata al Quirinale dopo aver fissata una serie di paletti indigeribili al M5S: no al ex-premier Giuseppe Conti, discontinuità nella composizione dell'esecutivo, ma soprattutto no alla riduzione del numero dei parlamentari, progetto costituzionale che per il M5S è una bandiera.

Dopo il PD è salita al Quirinale la delegazione della Lega, guidata da Matteo Salvini, l’artefice di questa crisi.

Un Salvini disperato non solo perché vede dissolversi il sogno di elezioni immediate ma anche perché qualora nascesse un governo giallorosso lui lascerebbe la poltrona di ministro, tornerebbe all’opposizione, potrebbe essere chiamato a rispondere delle inchieste giudiziarie in corso, perderebbe la visibilità da protagonista di cui ha goduto nei 14 mesi del governo gialloverde incrementando i consensi.

Al termine del colloquio con Mattarella, il Matteo padano, ai microfoni del Quirinale, ha tenuto un vero e proprio comizio ai cronisti presenti, magnificando i suoi meriti di ministro ed inveendo con  livore , tra l'altro, nei confronti di Renzi e Boschi che,  da alcuni giorni, ha scelto come vittime dei suoi vaniloqui. 

Una dimostrazione di povertà istituzionale e di rozzezza.

Subito dopo  è stata la volta della delegazione del M5S capitanata da Luigi Di Maio.

Era l’altra delegazione, insieme a quella DEM, in predicato per la possibile formazione di un governo giallorosso e dalla quale il Capo dello Stato si sarebbe atteso un contributo per la soluzione della crisi.

Invece, con una sconcertante puerilità , Di Maio ha pensato bene di presentarsi contrapponendo ai paletti di Zingaretti un suo muro di 10 condizioni irrinunciabili.

Era inevitabile, perciò, che a conclusione della giornata il Capo dello Stato esprimesse tutta la sua amarezza con poche ma chiare ed inequivocabili parole di rammarico.