Una corte d'appello francese ha sentenziato che Facebook può essere citato in giudizio nel paese transalpino, in merito alla decisione di rimuovere la pagina di un insegnante, colpevole di aver postato un'immagine de L'Origine del Mondo, un quadro dipinto nel 1866 da Gustave Courbet, che ritrae i genitali femminili.

Il social network specifica, nelle condizioni d'uso accettate al momento della registrazione, che per qualsiasi controversia è responsabile il tribunale di Santa Clara, in California, dove si trova la sede legale. I suoi avvocati hanno sostenuto che, trattandosi di un servizio gratuito disponibile a livello mondiale, ad esso non si possono applicare le norme a tutela dei diritti dei consumatori, in vigore in Francia.

Di parere totalmente diverso la corte d'appello che, confermando la sentenza di primo grado, ha considerato eccessivo ed illegittimo che controversie che possono venire da qualsiasi parte del mondo debbano necessariamente ricadere sotto la giurisdizione del tribunale di Santa Clara. Inoltre, sempre secondo i giudici, l'accettazione dei termini di utilizzo equivale alla stipula di un contratto fra l'utente ed il fornitore del servizio, che deve sottostare alla legge francese sui diritti dei consumatori.

L'insegnante pakistano di 57 anni, che ha querelato il social network, ha chiesto la riattivazione del suo account, rimosso cinque anni fa, e ventimila euro di risarcimento danni.

Ma i guai di Facebook in Francia non si fermano qui. La Commission Nationale de l’Informatique et des Libertés (CNIL), l'organo posto a tutela della privacy, ha constatato che Facebook non rispetta la normativa francese riguardante la protezione dei dati personali e ha invitato la società californiana ad adeguarsi entro tre mesi.

La commissione ha rilevato che il sito di Facebook è in grado di seguire, a loro insaputa, la navigazione su siti terzi anche di quanti non dispongo di un account sul social network. Semplicemente visitando una pagina pubblica di Facebook (es. quella di un amico), un utilizzatore di Internet riceve, senza esserne informato, un cookie, che permette a Facebook di identificare tutti i siti successivamente visitati, che contengano anche solo un pulsante "Mi piace".

Inoltre, sempre secondo la CNIL, il social network non chiede espressamente il consenso degli utenti relativamente alla raccolta ed al trattamento dei dati relativi alle loro opinioni politiche e religiose o all'orientamento sessuale. Anche per quanto riguarda le modalità di gestione della pubblicità, Facebook non rispetta le regole. Infatti, la scelta della pubblicità da mostrare viene fatta combinando tutti i dati personali raccolti direttamente dal sito o da altre società del gruppo, senza che gli utenti abbiano la possibilità di opporsi al consolidamento di questi dati a scopo pubblicitario.

Infine, Facebook è colpevole di trasferire ancora i dati personali degli utenti negli Stati Uniti, in base al Safe Harbor Agreement, cosa non più possibile dopo la decisione della Corte di Giustizia Europea dell'ottobre scorso, che lo ha invalidato. La società di Santa Clara sostiene che il trasferimento di tali dati avviene non sulla base del Safe Harbor Agreement, ma a seguito di altre norme della UE sulla protezione dei dati, attualmente ancora in vigore.