A Palermo, nella seconda metà dell’Ottocento, non era raro vedere un uomo piccolo di statura ma diritto come una spada, con un viso scavato dalla preghiera e dalla fame, correre tra i vicoli con una pagnotta in mano. Era Giacomo Cusmano. Lo chiamavano “il medico dei poveri”. Non perché dispensasse solo medicine, ma perché curava l’anima con la stessa urgenza con cui soccorreva i corpi. Non ha fondato un impero, ma un regno sì: quello della Carità.

Nacque il 15 marzo 1834 da famiglia benestante. Studiò a Palermo e si laureò in medicina a soli 21 anni. Poteva fare carriera, sedersi su poltrone comode, ricevere clienti coi guanti. Ma il colera del 1860, lo stesso che decimò i vicoli già esausti di fame e ignoranza, gli rivelò che la scienza senza compassione è sterile. “Non basta guarire i corpi – scriveva – bisogna salvare i cuori”.

Nel 1867 appese il camice e indossò la talare. Divenne sacerdote con un obiettivo chiaro: “Fare del povero un fratello, non un cliente”. Non cercava elemosine, cercava giustizia. E fondò, il 21 febbraio 1867, l’Opera del Boccone del Povero. Nome curioso, quasi infantile. Ma spiegava tutto: chiunque poteva offrire il suo “boccone” quotidiano per sfamare chi non aveva nulla.

Il Boccone crebbe come crescono le idee giuste: con lentezza e fatica. Cusmano bussava a tutte le porte, ricchi e poveri, chiedendo non solo denaro, ma condivisione. Raccontava che «chi dona il superfluo fa beneficenza, ma chi divide il necessario fa carità». Parole che oggi troveremmo scritte sui muri delle ONG, allora parevano rivoluzionarie.

Non faceva politica, ma la sua carità era più sovversiva di mille comizi. Sfidava il perbenismo borghese, denunciava l’indifferenza, metteva il dito sulla piaga della Palermo beneducata che si voltava dall’altra parte. A chi gli diceva: “non si può salvare il mondo”, rispondeva: “ma posso cominciare col salvare questo bambino”.

Nel 1887, con l’aiuto di alcune donne devote, diede forma femminile all’Opera: nacquero le Serve dei Poveri. Poi toccò ai religiosi: i Fratelli del Boccone del Povero. “Volevo – scrisse – che la carità non fosse solo un fuoco di paglia, ma una fiamma che brucia nel tempo”. E così fu.

Visse povero tra i poveri, dormiva su un pagliericcio, mangiava quel che avanzava. Una sera lo trovarono in ginocchio davanti a un ragazzo moribondo: gli porgeva l’ultima zuppa con le mani tremanti. “Questo è Cristo”, mormorava. Aveva letto bene il Vangelo: “Ogni volta che avete fatto questo a uno di questi piccoli, lo avete fatto a me” (Mt 25,40).

Giacomo Cusmano morì il 14 marzo 1888, vigilia del suo compleanno. Aveva 54 anni. La voce si sparse come un lampo: “È morto il santo”. Nessuno osava dirlo ad alta voce, ma Palermo aveva perso un padre. Uno di quelli che non predicavano soltanto, ma facevano. Il suo corpo fu sepolto nella chiesa della Casa Madre, in via Pindemonte, e lì resta, tra le preghiere di chi ancora oggi si affida alla sua intercessione.

Il 30 ottobre 1983, Giovanni Paolo II lo proclamò beato. Nel decreto si legge: «Fu sacerdote esemplare, fondatore generoso, apostolo della carità». Ma forse il riconoscimento più sincero è ancora quello di un bambino del Borgo Vecchio, che al passaggio del Beato esclamava: “È venuto il medico che guarisce anche la fame!”.

Fonti e citazioni

Cusmano, G., Lettere spirituali, Archivio Boccone del Povero, Palermo.
Tarallo, G., Giacomo Cusmano, il medico dei poveri, Paoline, 2003.
Giovanni Paolo II, Omelia per la beatificazione di Giacomo Cusmano, 30 ottobre 1983.
Archivio Storico Diocesano di Palermo, sez. Cusmano, cartella 12.
Bonafede, A., Palermo nel cuore: Santi e rivoluzionari, Sellerio, 2010.