In questi giorni stiamo assistendo alla più squallida comunicazione, con vocaboli usati senza pensare a ciò che si sta scrivendo, sparando a zero, contro tutti e contro tutto.
È vero, siamo in un periodo storico politico molto delicato, ma non per questo possiamo permetterci di "tweettare" o postare tutto quello che ci viene in mente... dovremmo invece essere molto più scaltri e far fruttare il web a nostro favore e non il contrario.
Voi vi fidereste mai di una persona che millanta di essere una cosa e sui social ne scopriamo che è altro?
Vi rendete conto che i social sono esattamente il nostro specchio?
Sul web non vale la regola, ma no ti sei sbagliato, no sul web esce perfettamente la persona che sei, insicura, appariscente, volgare, ignorante.
Il web è lo specchio della nostra immagine, dovremmo tenere il nostro profilo sempre corrispondente a ciò che siamo, basta nascondersi, dietro la frase "ma che mi frega", non è una giustificazione, se vuoi essere un esempio per chi ti segue, se vuoi creare una community, se vuoi essere un influencer delle tue idee, comincia a essere te stesso.
Sul web non serve apparire, la gente non ha tempo di stare a capire chi sei realmente e i social alla fine dimostrano realmente chi siamo.
Questo è uno stralcio delle dichiarazioni di Macron sul nostro paese, tu ti fideresti più di uno del genere? No allora pensa a ciò che posti.
Con l’abuso degli insulti, delle invettive, delle demonizzazioni che oggi domina incontrastato il vocabolario politico, dare del «lebbroso» a un gruppo di avversari, come ha fatto il presidente francese Macron con i cosiddetti «populisti» nazionalisti, è stato un pessimo segnale. Le parole della politica hanno una storia nel Novecento: tragica e atroce. La metafora della lebbra, della terribile malattia che infetta e contagia è stata adoperata con dovizia da dittatori e tiranni che indicavano il nemico «che infestava», che «inquinava», che «contagiava». È stata l’antipasto lessicale di una pratica che ha disegnato attorno al nemico da annientare i contorni della «sub-umanità».