L’ultimo film della trilogia dedicata a “IL PADRINO” risale al 1990 narra le lotte di potere all’interno dell’organizzazione mafiosa americana, la strage per arrivare al controllo delle attività illegali, l’ambizioso progetto che Michael Corleone vuole realizzare quello di “legalizzare” i suoi capitali, ripulire il nome della famiglia lasciando nelle mani della figlia la gestione di una fondazione dove sono conservate le ricchezze raccolte in anni di delitti, violenze e terrore. La storia si conclude con la morte in solitudine del protagonista: vi è solo una cane che si aggira ignaro intorno al suo cadavere.

Il film inizia con l’incontro in Vaticano del “padrino” con un cardiale in un lussuoso ufficio. L’alto prelato arriva immediatamente al fulcro del problema e senza mezzi termini chiede a Michael Corleone 700 milioni di dollari per ripianare i conti della banca vaticana che, per sua stessa ammissione, non aveva saputo gestire nel migliore dei modi.

Corleone offre 500 milioni di dollari e chiede l’amministrazione dell’Internazionale Immobiliare (la gestione degli immobili appartenenti alla Santa Sede sparsi in tutto il mondo) un patrimonio quotato centinaia di miliardi.

Il cardinale gli dice: “A quanto pare, di questi tempi il potere di rimettere i debiti è più forte di rimettere i peccati: 600 milioni!” e il boss gli replica: “Non deve sopravvalutare il potere di rimettere i peccati” e il patto è concluso.

Noi siamo immersi nella mafia al punto tale da considerarla parte del corredo culturale ed economico della nostra società, ormai la mentalità e lo stile mafioso hanno soppiantato il vecchio modello di italiani brava gente, grandi e onesti lavoratori (ma anche analfabeti e servi della gleba sfruttati dai grandi proprietari terrieri e dalla nobiltà). Un figlio putativo del Berlusconismo rampante ebbe a dire che con la mafia ci si doveva convivere. Costui gira ancora per il Parlamento italiano votato da cittadini convertiti alla nuova bibbia liberista.

Sempre restando negli anni ’90 se diamo un’occhiata a quello che stava succedendo in America e il ruolo che svolgevano la mafia americana e siciliana in quella terra di opportunità ci si accorge che in realtà non erano e non sono la stessa “cosa nostra” anche se avevano gli stessi obiettivi – potere e denaro – e la stessa origine etnica.

L’FBI e il sistema politico-giudiziario americano hanno sempre considerato la mafia americana un grande pericolo per il Paese ma negli anni ’90 iniziarono a studiare con molta attenzione il profilo della mafia siciliana ed emerse che gradualmente questa organizzazione criminale si era creata una base solida con l’immigrazione legale di molti affiliati in quanto le autorità americane ai cittadini italiani non richiedevano più permessi.

 Era palese che la mafia siciliana stesse colonizzando la criminalità americana. Si erano infiltrati nei piccoli centri e nelle campagne, si erano stabiliti nelle cittadine di provincia, avevano richiesto la cittadinanza, si erano ben integrati nel tessuto sociale ed economico, nessun mandato di cattura e massima riservatezza ottenendo così il rispetto delle comunità dove vivevano.

Si era visto che più le autorità si accanivano contro la criminalità americana più dalla Sicilia arrivavano mafiosi, alla fine degli anni ’80 l’FBI riteneva che vi fossero poche centinaia di affiliati, nel ’91 si ipotizzava che ve ne fossero già tremila senza contare i membri della camorra e della ‘ndragheta, alla fine del ’92 se ne contavano dai diecimila ai ventimila tra affiliati e associati.

La mafia americana aveva duemila affiliati e circa ventimila associati ciò corrispondevano all’incirca alla mafia siciliana stanziata negli Stati Uniti ma i siciliani differivano per qualità e stile comportamentale: questi erano cresciuti all’ombra di Totò Riina, avevano combattuto la sanguinosa guerra di mafia che aveva mietuto centinaia di vite, collegati ai più grandi sindacati criminali del mondo erano temuti dai loro colleghi americani. Tale situazione stava attirando nella propria orbita planetaria i suoi cugini criminali americani, in particolare nel saccheggio della Russia e nell’insegnare loro l’esercizio del potere. Eppure per ammissione degli inquirenti americani i rapporti tra le due mafie risultavano misteriosi e spesso insondabili. Anche se per circa quarant’anni sono rimaste distinte e nessuna delle due poteva violare i rispettivi territori sovrani, sin dagli anni ’60 i siciliani sconfinavano spesso nel territorio e influivano negli affari dell’altra parte che mal tollerava tali intrusioni e ne detestava l’arroganza, la crudeltà, l’impenetrabilità, la rapacità e la permalosità.

L’uomo che fu inviato dalla cupola siciliana nei primi anni ’80 come ambasciatore presso i capi newyorkesi fu John Gambino che pur essendo imparentato alla lontana con il defunto Carlo Gambino boss della più potente famiglia mafiosa americana faceva parte del vertice più esclusivo della cupola palermitana. Per molti anni in America egli condusse una politica espansionistica in favore della mafia siciliana e quando fu arrestato la cosa passò sotto silenzio mentre l’incriminazione a Miami del generale Noriega di Panama per collusione con i cartelli colombiani della cocaina fece storia su tutti i giornali americani eppure Gambino si era dato da fare più del generale per alimentare la popolazione tossicodipendente degli USA.

Perché John Gambino era stato accolto sin dall’inizio nelle famiglie mafiose americane con rispetto e referenza?  Perché era non solo il rappresentante della cupola ma anche il garante del vecchio accordo stipulato nell’ottobre del 1957 durante un incontro al vertice tenutosi nel Grand Hotel des Palmes di Palermo che stabiliva l’entrata della mafia siciliana nel mercato USA dell’eroina che avrebbe importato e distribuito all’ingrosso versando una percentuale al chilo alle famiglie mafiose americane che si erano poste fuori dal commercio dei stupefacenti. Per anni silenziosamente e regolarmente la mafia siciliana aveva alimentato il mercato americano dell’eroina ricavandone enormi capitali con i quali consolidava il proprio potere e per tal motivo  nessuno ha potuto più “sradicarli”.

Miliardi di narcodollari che avevano bisogno di essere riciclati erano stati affidati proprio a Gambino e, per suo tramite, al banchiere della mafia a New York, Michele Sindona. Per questo Gambino al quale era stata delegata l’intera operazione non poteva fare una brutta fine come il suo predecessore per mano di Gotti che non lo vedeva "di buon occhio".

L’accordo di stare fuori dal traffico di droga venne spesso violato dagli affiliati americani a rischio della vita per realizzare velocemente e facilmente piccole fortune inoltre, con il tempo, molti membri delle famiglie siciliane venivano affiliati anche negli Stati Uniti e parecchi di loro avevano fatto carriera, addirittura uno era riuscito a scalare il vertice e assumere la guida di una famiglia.

"Invitati per ringiovanire l’organizzazione americana, i siciliani avrebbero potuto finire col prenderne le redini.  Saranno sulla strada giusta per farlo il giorno in cui riusciranno ad infondere forze fresche in una famiglia americana di antica fama."

L’autorevole Commissione della criminalità della Pennsylvania affermava: “Una riorganizzazione e forse un ritorno alla tradizione sta avendo luogo nella famiglia di Filadelfia e anche in altre…. Ciò che si sta sviluppando è indice di una nuova tendenza per l’organizzazione e le operazioni di Cosa Nostra.

Se Stanfa avrà successo… avremo sotto gli occhi una potente confederazione comprendente membri della mafia siciliana e veterani della famiglia.  Cosa Nostra ne potrebbe uscire di gran lunga più potente, più efficace e più protetta dalle forze dell’ordine. La metamorfosi in atto nella famiglia di Filadelfia può rappresentare il futuro di Cosa Nostra.”

A parte gli sforzi raddoppiati per eliminare la mafia in sé, l’obiettivo principale della strategia dell’FBI era ora quello di: “(…) garantire che nessun’altra organizzazione criminale potesse mai raggiungere un livello di potere paragonabile”.

Robert Muller, viceministro della Giustizia, chiamato a testimoniare dinanzi al Congresso dichiarò: “Per la maggior parte degli ultimi trent’anni abbiamo giocato a rimpiattino nel tentativo di sradicare ciò che è tutt’ora il più grave problema di criminalità organizzata di questo paese, Cosa Nostra. Non ripeteremo questo errore, non possiamo starcene con le mani in mano mentre gruppi sempre nuovi di criminalità organizzata invadono la nostra società.”

Ma la società americana era già invasa dalle stesse forze che avanzavano in Europa e che operavano su due continenti come su uno solo.  Ma per quanto le forze dell’ordine americane fossero in anticipo nel tentativo di affrontarle esse sono a tutt’oggi incapaci di colmare quello che è noto come “gap tecnologico” fra le risorse dei sindacati del crimine e le proprie. La scia di organizzazioni criminali che operano su territorio degli Stati Uniti è enorme, non si tratta di potenziali emuli di Cosa Nostra. La maggior parte lavora per Cosa Nostra o le paga un tributo. Ad esempio, a parere dell’FBI gli Hell’s Angels (una famosa gang di motociclisti) sono “suoi collaboratori”, oltre ad agire a livello nazionale, armati fino ai denti, disciplinati e letali hanno trentacinque succursali negli USA e altrettante all’estero, in Canada, Gran Bretagna, Danimarca, Germania, Francia, Brasile, Nuova Zelanda, Russia e Giappone.

Ma ciò che preoccupava Washington era ed è un allarmante affollamento di veri e propri colleghi di Cosa Nostra: le Triadi, la Yakuza e la mafia russa. Le Triadi hanno il quadruplo degli affiliati e degli associati della mafia americana; la Yakuza il quintuplo; i russi più di cento volte tanto e tutti stanno arrivando sempre più numerosi negli Stati Uniti. Basterebbe che una sola delle tre organizzazioni criminali si alleasse con una delle due mafie (americana o siciliana) per suscitare terrore, e tutte sono alleate di entrambe.

“Una simile concentrazione di potere criminale va al di là dell’esperienza di qualunque paese. Secondo l’FBI tutti pagano un tributo a Cosa Nostra Americana. In cambio ‘utilizzano’ le sue relazioni per infiltrarsi nella polizia e nella magistratura attraverso i contatti che questa ha stabilito da lungo tempo.”

Il fatto che Cosa Nostra dia loro accesso al proprio elenco privato di giudici e poliziotti corrotti suggerisce una complicità a livelli altissimi.

Queste notizie risalgono all’inizio degli anni ’90, a distanza di più di trent’anni queste organizzazioni non si sono mai fermate, hanno accumulato e continuano ad accumulare capitali immensi, a controllare nuovi territori e ad aumentare la sua influenza nelle istituzioni di molti paesi, la loro avidità li rende insaziabili. Anche lo IOR – fra alti e bassi - non scherza nell'aumentare il suo capitale attraverso una miriadi di impensabili canali poi, male che vada, ci sono sempre le indulgenze!