Il Congresso Nazionale della Società Italiana di Telemedicina, tenutosi recentemente, ha rappresentato un momento di grande maturità per il panorama sanitario nazionale. Non solo perché ha fatto il punto sullo stato dell’arte delle tecnologie digitali in medicina, ma soprattutto perché ha messo al centro il tema della responsabilità. Tra i contributi più attesi, quello di Massimiliano Nicolini, direttore della Fondazione Olivetti Tecnologia e Ricerca e ideatore del modello BRIA (Bioinformatica, Realtà Immersiva e Intelligenza Artificiale), ha offerto una lettura profonda e lucida delle sfide attuali, riconducendo l’intero dibattito su tre assi fondamentali: formazione, etica, impatto ambientale.

La formazione come primo atto di cura

“Non esiste una sanità digitale senza cultura digitale”, ha affermato Nicolini, aprendo il suo intervento con tono deciso e insieme pedagogico. Il richiamo alla formazione non è stato generico: ha preso forma in una riflessione ampia sulla necessità di programmi nazionali strutturati per la qualificazione di medici, tecnici e dirigenti sanitari. La proposta è quella di una formazione continua e certificata, capace di superare il divario tra tecnologia e competenza umana, tra le potenzialità del software e la capacità del professionista di comprenderlo, verificarlo e governarlo.

“L’intelligenza artificiale non può essere consegnata al medico come un oggetto misterioso. Ogni algoritmo che entra in reparto deve essere spiegato, compreso, contestualizzato. La nuova medicina richiede non solo nuovi strumenti, ma anche nuove coscienze professionali.”
Nicolini ha sottolineato come il modello BRIA, sviluppato dalla Fondazione Olivetti e adottato in diversi contesti istituzionali, scolastici e clinici, stia già fornendo un esempio virtuoso di interdisciplinarità applicata, coniugando bioinformatica, realtà immersiva e AI all’interno di una visione formativa che include lavoro etico, inclusione sociale e sviluppo sostenibile.

La deriva spettacolare della telemedicina e il ritorno alla clinica

Un passaggio particolarmente applaudito è stato quello in cui Nicolini ha denunciato la crescente spettacolarizzazione della tecnologia medica. “Siamo circondati da pitch di startup che promettono rivoluzioni, ma spesso dietro quelle slide non c’è alcuna sperimentazione clinica, nessuna pubblicazione, nessun dato,” ha affermato, indicando un problema sistemico: la rincorsa ai fondi e alla visibilità ha spesso soppiantato la ricerca rigorosa.

“La medicina non ha bisogno di effetti scenici, ma di verità. È ora che i software siano sottoposti a un iter di validazione trasparente, come avviene per un farmaco.”
In questo senso, Nicolini ha proposto l’istituzione di un protocollo nazionale di certificazione dei software sanitari, da affidare ad enti terzi ma sempre istituzionali e mai privati capaci di verificare l’effettiva utilità clinica, la ripetibilità dei risultati e la compatibilità con i reali bisogni del paziente. Ha inoltre auspicato la creazione di una figura ispettiva specifica all’interno delle ASL, deputata alla valutazione dei software introdotti nei reparti, così da frenare l’inserimento indiscriminato di strumenti inefficaci o dannosi.

La sostenibilità come dovere tecnologico

Ma il momento più innovativo dell’intervento ha riguardato un tema ancora troppo marginale nel dibattito sanitario: l’impatto ambientale della tecnologia digitale. Con il consueto rigore tecnico, Nicolini ha illustrato il concetto del Teorema di Assisi, un modello teorico da lui stesso ideato che quantifica la massa energetica di un singolo bit computazionale. Una vera e propria rivoluzione epistemologica che consente per la prima volta di misurare il peso fisico del dato, e dunque l’impatto di ogni processo algoritmico in termini di emissioni, consumo energetico e impatto sulla rete.

“Abbiamo trasformato l’intelligenza artificiale in una fonte invisibile di CO₂. Ma senza una contabilità ecologica dei nostri calcoli, nessuna medicina digitale potrà definirsi sostenibile.”
Questo passaggio ha aperto una riflessione ampia sulla necessità di integrare le tecnologie BRIA nei protocolli di monitoraggio energetico ospedaliero, in collaborazione con soggetti come erogatori di energia, per permettere l’adozione di incentivi legati all’efficienza computazionale (come i certificati bianchi), estendendoli anche ai data center sanitari e alle infrastrutture digitali degli ospedali pubblici. La telemedicina come diritto pubblico e non come prodotto

A chiusura del suo intervento, Nicolini ha ribadito con forza un principio non negoziabile:

“La telemedicina non è un prodotto. È un diritto. E come tale va regolamentata, garantita, e sottratta alle sole logiche di mercato.”Questo richiamo ha tracciato una netta distinzione tra chi considera la salute digitale un ambito di business e chi invece – come Nicolini e la Fondazione Olivetti – la vive come un’estensione del diritto costituzionale alla salute, dove l’innovazione è uno strumento e non un fine.

Il Congresso ha mostrato che la telemedicina, se affrontata con rigore e visione, può diventare uno dei motori di rinascita del nostro Servizio Sanitario Nazionale. Ma solo se sapremo coniugare formazione solida, responsabilità sociale e sostenibilità ambientale. L’intervento di Massimiliano Nicolini ha indicato la direzione: quella di una tecnologia giusta, spiegabile, formata, verificata e compatibile con il pianeta.

Perché il futuro della sanità, come ha ricordato citando un passaggio del Teorema di Assisi, “non sarà solo digitale, ma ecologico, giusto e umano. Solo così potremo chiamarlo davvero progresso.”