Manifestazione di Forlì. Libertà
Testo di Gabriele Catozzi


PREMESSA.

Il popolo, nella sua maggioranza, può accettare tutto, dipende da come il tutto gli viene proposto, a tale proposito è calzante il principio metaforico del filosofo statunitense Noam Chomsky: la capacità di adattarsi a situazioni spiacevoli e deleterie senza reagire, se non quando ormai è troppo tardi, anche conosciuto come “il principio della rana bollita”.


Una definizione di democrazia, nella concezione che l’archetipo greco del termine le assegna, non può non essere in contraddizione con il concetto immaginario (riferimento all’archetipo) che tutti abbiamo, almeno nella rievocazione istantanea, ed oggi maggiormente, perché notiamo l’ossimoro: se è possibile una libertà dalla politica, non può esservi politica senza libertà, almeno nella teoria, ma le regole della democrazia e della politica, finiscono sempre, nella pratica, con il non essere conseguenza dalla libertà. E il motivo va ricercato nella gestione del potere, che è opera umana, con tutte le conseguenze che ciò comporta. Il potere democraticamente concesso finisce inevitabilmente con l’agire nell’interesse di chi lo esercita, facendo decadere il valore primario. Ogni democrazia può deformarsi e plasmarsi e imporre “democraticamente” il volere di pochi su tanti, poiché si basa sulla buonafede di chi la gestisce. Ma chi governa il popolo? In realtà il governo è il risultato delle tante possibilità che la “democrazia” mette a disposizione, compresa la possibilità di essere gestiti, sempre democraticamente, da chi non rappresenta nessuno, o almeno da nessuno è stato richiesto di rappresentarlo, tranne da chi ne ha il diritto costituzionale di farlo..

Il paradosso non è minimo, perché la gestione del potere è gestione di tutto, della vita dei cittadini, del loro futuro e se non è attuata con onestà, fede ed altruismo, può anche "scudarsi" dal paravento istituzionale, ma diventa cattivo governo, ed i frutti del cattivo e del buon governo sono dati storici noti a tutti coloro che desiderano conoscerli, se non vederli, (già quasi sette secoli fa ce li illustrò Ambrogio Lorenzetti, nel Palazzo Pubblico di Siena, dove in Assise del cattivo governo presiede il “DEMONE CORNUTO”).

La libertà, sempre dal concetto stesso di origine greca del termine è la condizione essenziale per poter vivere nella «polis» (la città intesa come primo nucleo sociale, come comunità-stato), da cui erano esclusi, però, schiavi, donne e forestieri. 

Oggi l’esclusione, in Italia, è unicamente per chi non possiede i requisiti politici richiesti e l’inclusione è per chi ha accettato, con ricatto, di ottenerli sottoscrivendo un contratto con la sorte (in palio la propria vita). Requisiti politici perché la validità del presupposto sanitario è davvero difficile da sostenere.

E il concetto di libertà controllata da giusti principi democratici espressi nella costituzione cade in difetto, perché questi principi, volendo, possono essere raggirati. E così può accadere, che a rappresentare e guidare anche l’esecutivo di una Repubblica parlamentare ci sia solo l’uno, l’assoluto, l’insostituibile ( non ci sono motivi per aggiungere “l’incorruttibile”). 

Ma un uomo solo al comando va bene per una gara ciclistica, non per un paese “democratico” e questo è l’ossimoro-paradosso di una democrazia: l’uno, con il consenso di tutto un parlamento, ma un parlamento dal pensiero unico non può che rappresentare sé stesso, non un paese, che certamente pensiero unico non può avere.

Ma l’uno, o l’insieme di tanti che convogliano sé stessi (per esplicito proprio interesse) in esso, per quanto la si riesca a mascherare, con tutti i mezzi di convincimento mediatico a disposizione, con tutti i ricatti e la corruzione possibile, non potrà mai essere definita “democrazia”, ma solo decadimento della stessa, in un declino dagli aspetti tristi e disonorevoli di chi ne è responsabile.

E nessuno, anche se travestito da “paladino democratico”, potrà mai nascondere tali evidenze, almeno nel dialogo inevitabile con il proprio essere, pena il tradimento peggiore, quello della cecità profonda e consapevole.