Nella realtà più profonda del matrimonio, l’amore è essenzialmente dono e legame coniugale. Esso conduce gli sposi alla reciproca «conoscenza» che li fa «una carne sola» (Gen 2,24). L’amore non si esaurisce all’interno della coppia, poiché li rende capaci della massima donazione possibile, per la quale diventano cooperatori con Dio per il dono della vita ad una nuova persona umana.[1] Infatti, per questo motivo «gli sposi vi partecipano in quanto sposi, in due, come coppia, a tal punto che l’effetto primo ed immediato del matrimonio (res et sacramentum) non è la grazia soprannaturale stessa, ma il legame coniugale cristiano, una comunione a due tipicamente cristiana perché rappresenta il mistero dell’Incarnazione del Cristo e il suo mistero di Alleanza. E il contenuto della partecipazione alla vita del Cristo è anch’esso specifico: l’amore coniugale comporta una totalità in cui entrano tutte le componenti della persona - richiamo del corpo e dell’istinto, forza del sentimento e dell’affettività, aspirazione dello spirito e della volontà; esso mira ad una unità profondamente personale, quella che, al di là dell’unione in una sola carne, conduce a non fare che un cuor solo e un’anima sola: esso esige l’indissolubilità e la fedeltà della donazione reciproca definitiva e si apre sulla fecondità.[2] In altre parole, si tratta di caratteristiche normali di ogni amore coniugale naturale, ma con un significato nuovo che non solo le purifica e le consolida, ma le eleva al punto di farne l’espressione di valori propriamente cristiani».[3]

 Possiamo affermare che in questo modo i coniugi, mentre si donano tra loro, donano al di là di sé stessi la realtà del figlio, sono il riflesso vivente del loro amore, segno permanente della unità coniugale e sintesi viva ed indissociabile del loro essere padre e madre. Divenendo genitori, gli sposi ricevono da Dio in primis il dono della misericordia[4] e il compito di una nuova responsabilità. Il loro amore parentale è chiamato a divenire per i figli il segno visibile dello stesso amore misericordioso di Dio, «dal quale ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome» (Ef 3,15).[5] Teniamo presente che «nel disegno originario di Dio ogni figlio dell’uomo è pensato, amato, accolto e atteso “in Cristo prima della creazione del mondo”, vale a dire da sempre».[6] Potremo dire che «in questa luce la fecondità fisica, frutto dell’incontro d’amore dell’uomo e della donna secondo il progetto primo e insostituibile di Dio creatore, è e rimarrà sempre un valore di primaria grandezza, pietra fondamentale per ogni ulteriore sviluppo, anche neotestamentario, del rapporto fecondità-sterilità».[7] Notiamo però, che non si deve, tuttavia, dimenticare che, infatti, anche quando la procreazione non è possibile, non per questo la vita coniugale perde il suo valore. La sterilità fisica, infatti, può essere occasione per gli sposi di altri servizi importanti alla vita della persona umana, quali ad esempio l’adozione, le varie forme di opere educative, l’aiuto ad altre famiglie, ai bambini poveri o handicappati (cf. Familiaris consortio, n. 14).[8]

È importante riflettere su un fatto: nel matrimonio e nella famiglia si costituisce un complesso di relazioni interpersonali - nuzialità, paternità-maternità, filiazione, fraternità -, mediante le quali ogni persona umana è introdotta nella “famiglia umana” e nella “famiglia di Dio”[9], che è la Chiesa. Il matrimonio - comunione sponsale con “Dio Amore e Misericordia”, e la famiglia cristiana edificano la Chiesa. Nella famiglia, infatti, la persona umana non solo viene generata e progressivamente introdotta, mediante l’educazione, nella comunità umana, ma attraverso la rigenerazione del battesimo e l’educazione alla fede, essa viene introdotta anche nella famiglia di Dio, che è la Chiesa. La famiglia umana, disgregata dal peccato, è ricostituita nella sua unità dalla forza redentrice della morte e risurrezione di Cristo (cf. Gaudium et Spes, n. 78). Il matrimonio cristiano, partecipe dell’efficacia salvifica di questo avvenimento, costituisce il luogo naturale nel quale si compie l’inserimento della persona umana nella grande famiglia della Chiesa. Il mandato di crescere e moltiplicarsi, rivolto in principio all’uomo e alla donna, raggiunge in questo modo la sua intera verità e la sua piena realizzazione. La Chiesa trova così nella famiglia, nata dal sacramento, la sua culla e il luogo nel quale essa può attuare il proprio inserimento nelle generazioni umane, e queste, reciprocamente, nella Chiesa (cf. Familiaris consortio, n. 14-15).[10] «La Chiesa, comunità di cui gli sposi riconoscono lo scopo del fare famiglia in piccolo, e in privato la vivono come Chiesa- domestica, fa intuire che esiste un legame profondo, organico, essenziale fra Chiesa domestica, famiglia, e Chiesa grande».[11]                                 

sac. dott. Gregorio Lydek - ks. prof. dr Grzegorz Lydek

  
[1]Cf. Ch. West, Teologia ciała dla początkujących (trad. La teologia del corpo per i principianti), Centrum Myśli J.P.II, Sandomierz 2009, pp. 96-99.
[2]cf. Paolo VI, Humanae Vitae, n° 9.
[3]Giovanni Paolo II, Discorso ai Delegati del “Centre de Liaison des Equipes de Recherche”, 4 (3 Novembre 1979), in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, II, 2 (1979) 1032; Familiaris consortio, n. 14.
[4]Cf. M. Sopoćko, Miłosierdzie Boga w dziełach Jego (Misericordia di Dio nelle Sue opere), vol. I, KMB, Białystok 2008, pp. 258-262.
[5]Cf. G. Oggioni, Catechesi sul matrimonio e sulla famiglia, op. cit., p. 36.
[6]R. Bonetti, In famiglia la fede fa la differenza, op. cit., p. 25.
[7]C. Ghidelli, Sposi cristiani - riflessioni bibliche su matrimonio e famiglia, op. cit., p. 115.
[8]Cf. G. Oggioni, Catechesi sul matrimonio e sulla famiglia, op. cit., p. 37.
[9]Così detta Chiesa domestica.
[10]Ibidem.
[11]R. Bonetti, In famiglia la fede fa la differenza, op. cit., p. 44.