D’Alema rientra nel Pd dicendo che chi lo ha portato al 40%, a fare le unioni civili, ad avere l’unico governo con la parità di genere, a creare più di un milione di posti di lavoro è un MALATO. Sono parole che si commentano da sole. Un pensiero a chi è malato davvero, magari nel letto di un ospedale. E un abbraccio a chi sognava il partito dei riformisti e si ritrova nel partito dei dalemiani.

Questa è stata l'ultima dichiarazione di Matteo Renzi che in precedenza, al Messaggero, aveva dichiarato:

D'Alema mi ha sempre fatto la guerra da dentro e da fuori. Quando ho guidato il Pd abbiamo preso il 40%, governato 17 regioni su 20 e scritto pagine importanti sui diritti, per abbassare le tasse, sul lavoro e sull'impresa con Industria 4.0. Con noi la classe operaia ha ricevuto più soldi, non solo con gli 80 euro. Per uno come D'Alema tutto ciò è una malattia. La ricetta del Dottor D'Alema, chiamiamolo così, è di avere il 20%, stare all'opposizione in larga parte delle regioni, fare convegni sui diritti senza approvare alcuna riforma, fare scioperi sul lavoro e scommettere sui sussidi di cittadinanza. Sono due visioni opposte della vita e della politica. Se i Dem di oggi pensano che il renzismo sia la malattia e D'Alema sia la cura sono contento per loro e faccio molti fervidi auguri. È il motivo per cui non sono più nel Pd: io credo nel riformismo, loro nel dalemismo".

Naturalmente, quando il capitano ha bisogno di supporto, subito i gregari si affannano a portargli soccorso. Questo è quanto dichiarato da Raffaella Paita (Italia Viva):

"Quando il PD prendeva il 40%, approvava le unioni civili, aveva un governo con la parità di genere, faceva leggi per avere un milione di posti di lavoro e più investimenti nelle fabbriche, secondo D’Alema quello era un Pd malato. Ha detto proprio così: malato. Ora che invece il Pd ha il 20%, fallisce sullo Zan, sostiene il reddito di cittadinanza invece è sano. E sapete perché? Perché D’Alema è tornato. Un abbraccio a chi pensava che il Pd fosse la casa dei riformisti e si ritrova nella tenda dei dalemiani".

E tra i gregari non dobbiamo neppure dimenticare gli avvelenatori di pozzi che sono rimasti tra i dem e si sono "dimenticati" di trasferirsi nella nuova casa del padrone, come il senatore Andrea Marcucci, che sulla questione D'Alema si è espresso in questi termini:

"D’Alema rientra nel Pd e parla di malattie? Lui è un esperto, avendone vissute e provocate molte fin dai tempi del Pci-Pds. Il Pd provi ad essere più ambizioso. La legislatura volge al termine. Ci sono le condizioni per un congresso costituente, dopo l’elezione del capo dello Stato? Io penso di sì. Ripensare il partito, modificare gli assetti organizzativi rendendoli più agili, rileggere e attualizzare il discorso del Lingotto, allargare il perimetro a una nuova classe dirigente moderata e riformista, impedire ritorni al passato.Sono tutti obiettivi che un grande partito può e deve darsi, al di là del ritorno più o meno gradito di uno sparuto gruppo di dirigenti".

Ma che cosa aveva detto D'Alema per provocare l'ira funesta del rignanese Matteo? Che Articolo Uno - partito fondato dallo stesso ex ministro degli Esteri insieme ad altri fuoriusciti dem - si scioglierà a breve e rientrerà nel Pd a maggio, dopo le Agorà volute da Letta. Una ricomposizione che per da D'Alema è ora necessaria, dopo la sconfitta del renzismo, da lui definito "una malattia". 

Ma che cosa accadrà ad Articolo Uno? Una domanda che non sembra aver interessato i media che hanno riportato solo la notizia dell'ira renziana, ma a cui il coordinatore Arturo Scotto ha comunque dato una risposta:

"Il Brindisi di fine anno è un rito per la nostra comunità di Articolo Uno. Un bel rito, aggiungo. Lo mettiamo sul web, perché venga condiviso da tutti e anche perché siamo trasparenti, sempre. Cosa rara di questi tempi. Un momento in cui ciascuno prova anche a delineare gli scenari possibili per il futuro in un clima più rilassato e allegro. Anche quest’anno è stato così, coinvolgendo anche tanti amici vicini al nostro mondo, penso a Maurizio De Giovanni che da sempre ci accompagna con simpatia e partecipazione. Maurizio è una persona speciale a cui vogliamo tutti bene, uno degli intellettuali che continuano a mantenere uno sguardo critico sulla realtà. Vivaddio, in questo clima di conformismo insopportabile e asfissiante, meno male che ci sono persone come lui.Le scelte politiche le facciamo però in altri luoghi, in quelli deputati di un’organizzazione politica democratica. Non nei brindisi. Insomma, non ci sciogliamo con un calice alzato collettivamente.Che il nostro obiettivo sia una ricomposizione del campo progressista è noto da tempo. Lavoriamo perché le Agorà - che sono uno spazio libero di confronto - divengano l’occasione per riscrivere i connotati di un campo progressista alternativo alla destra. Poi decideremo in un congresso democratico coinvolgendo tutti i nostri militanti e iscritti. Siamo un partito, non una bocciofila.P.S. Che il renzismo sia stato uno dei problemi della sinistra italiana non lo devo spiegare qui. Che sia un dato superato dalla storia mi pare abbastanza acquisito. Che ci siano nostalgici in circolazione non mi stupisce. Ce ne faremo una ragione. Gli italiani, che sono più avanti del ceto politico, se la sono fatta da tempo. E sanno benissimo che quella roba finisce a destra.Dopodiché D’Alema si è limitato ad affermare che quella stagione è finita. Non mi pare che abbia detto nulla di sconvolgente. E’ finita la stagione della vocazione maggioritaria, è finito il tempo delle forzature sulla Costituzione, è finito il tempo della conventio ad excludendum verso il Movimento Cinque Stelle. Non mi pare che sia una roba da poco, anche per il Pd…"