Il quotidiano La Stampa, nelle proprie pagine, ha anticipato alcuni brani del libro che Papa Francesco pubblica per il Giubileo 2025,  "La speranza non delude mai. Pellegrini verso un mondo migliore” a cura di Hernán Reyes Alcaide (Edizioni Piemme), che martedì uscirà in anteprima in Italia, Spagna e America Latina e poi in vari altri Paesi.

Tra le varie "riflessioni" del Pontefice su molti dei temi di attualità vi è anche un passaggio sul conflitto in corso a Gaza:

"Pensiamo agli esempi recenti che abbiamo visto in Europa. La ferita ancora aperta della guerra in Ucraina ha portato migliaia di persone ad abbandonare le proprie case, soprattutto durante i primi mesi del conflitto. Ma abbiamo anche assistito all'accoglienza senza restrizioni di molti Paesi di confine, come nel caso della Polonia.Qualcosa di simile è accaduto in Medio Oriente, dove le porte aperte di nazioni come la Giordania o il Libano continuano a essere la salvezza per milioni di persone in fuga dai conflitti della zona: penso soprattutto a chi lascia Gaza nel pieno della carestia che ha colpito i fratelli palestinesi a fronte della difficoltà di far arrivare cibo e aiuti nel loro territorio. A detta di alcuni esperti, ciò che sta accadendo a Gaza ha le caratteristiche di un genocidio. Bisognerebbe indagare con attenzione per determinare se s'inquadra nella definizione tecnica formulata da giuristi e organismi internazionali".

La prima considerazione da fare riguarda coloro che lasciano Gaza. Questo è stato possibile per un numero molto limitato di persone di doppia nazionalità, finché il valico di Rafah è rimasto aperto. Da mesi, invece, ciò non accade e quale sia la salvezza per milioni di persone è incomprensibile.

In Libano, è vero, negli scorsi anni sono stati accolti molti siriani che fuggivano dalla guerra, accolti e assistiti da Hezbollah, movimento che oltre alle ali politiche e militari ne ha anche una di assistenza umanitaria. Dopo la guerra scatenata da Israele nel sud del Libano, quei rifugiati hanno tentato di tornare nuovamente in Siria, ritenuta più sicura, ma il morale esercito dello Stato ebraico ha distrutto in vari punti la principale e unica via di fuga verso quella nazione.

Inoltre, per quanto riguarda la carestia di cui è ulteriormente vittima il popolo di Gaza, questa è determinata dalla difficoltà di far arrivare cibo e aiuti nel loro territorio per precisa volontà dello Stato ebraico, una volontà genocidaria.

Non c'è da indagare oltre per apprenderlo: basti leggere ciò che è scritto nella convenzione sul genocidio che anche Israele ha firmato, ascoltare le parole di Gallant e Netanyahu prima dell'invasione e vedere quel che da oltre un anno sta accadendo a Gaza... poi possiamo aggiungere a tutto questo anche i bombardamenti indiscriminati sui civili, inclusi donne e bambini, bombardamenti che continuano anche in queste ore... senza interruzione.

L'ultimo è quello su un un edificio di cinque piani raso al suolo a Beit Lahiya, nel nord di Gaza, in cui sono state assassinate almeno 72 persone (almeno 20 i bambini morti), in un bilancio che appare purtroppo provvisorio, perché la protezione civile non è in grado di raggiungere la zona e decine di altre persone sono ferite e intrappolate sotto le macerie.

Ed il Papa, dopo 400 giorni di questo massacro, ipotizza la necessità di indagare con attenzione se quanto sta accadendo a Gaza possa esser definito o meno genocidio?

E se anche lo dovessimo definire massacro o strage o carneficina o bagno di sangue o ecatombe o eccidio o macello o mattanza... che cosa cambierebbe?

Forse le oltre 150mila vittime (tra morti e feriti) - secondo alcune fonti il numero reale delle vittime sarebbe enormemente più alto - "miracolosamente" tornerebbero in vita o guarirebbero all'istante con gli arti amputati magicamente di nuovo al loro posto e le sofferenze dei sopravvissuti terminerebbero all'istante, bombardamenti compresi?

Il dubbio del Papa sul genocidio a Gaza è stato descritto quasi come una possibile denuncia nei confronti di Israele, ma non per quello che è: una dichiarazione ipocrita quanto vile di una persona che pretende dai suoi fedeli verità e coerenza, mentre lui è il primo a disattendere i suoi stessi insegnamenti.