Ha destato certamente molto clamore la notizia che il governo Meloni avrebbe intenzione di non rinnovare la misura di decontribuzione prevista per le imprese del mezzogiorno che doveva essere in vigore fino al 2029. Le sinistre hanno subito gridato all'ennesimo tentativo del governo di penalizzare il mezzogiorno d’Italia, che solitamente è sempre stata una priorità per le politiche di Fratelli d’Italia, che non a caso in quelle zone, come già accadeva alla vecchia alleanza nazionale, raccoglie sempre un consenso persino superiore a quello registrato al Nord.
La misura consiste in una sgravio sui contributi previdenziali per i datori di lavoro privati con sede in Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia. Si tratta di una agevolazione sui rapporti di lavoro dipendente tra le più utilizzate (Secondo i dati dell'Osservatorio INPS nel 2022 da gennaio ad agosto la misura ha interessato quasi un milione di rapporti di lavoro) . Va anche precisato che non si applica solo alle nuove assunzioni ma a tutti i rapporti in essere nel periodo agevolato.
Sono esclusi il settore del lavoro domestico, della finanza e dell'agricoltura. Lo sgravio sul costo del lavoro che vale 3,3 miliardi all’anno. E la misura si applica dal 2021 a circa 3 milioni di lavoratori dipendenti. Resta da vedere se effettivamente questa misura che il ministro Fitto a dicembre 2023 quando la commissione aveva concesso la proroga, voleva rendere strutturale affermando che “nei prossimi mesi, il Governo intende lavorare in stretta collaborazione con la Commissione europea per rendere questa misura strutturale e compatibile con la normativa europea in materia".
Sembrerebbe quindi strano che ora a distanza di pochi mesi lo stesso ministro e il governo possano aver radicalmente cambiato idea, come invece sostengono compatte le sinistre. Ed è lo stesso ministro Fitto, da mesi al centro delle polemiche, malgrado i suoi fino ad ora incontestabili meriti sul Pnrr , a cercare di spiegare come starebbero esattamente le cose “La ricostruzione offerta dalle opposizioni sulla misura Decontribuzione Sud è falsa e pretestuosa. Al riguardo, è necessario pertanto fare chiarezza", ha detto il ministro in risposta alle polemiche avanzate da alcuni presidenti di regione del sud, De Luca in testa.
"Il Governo - aggiunge - avvierà un negoziato con la Commissione europea per verificare nuove modalità possibili di applicazione della misura 'Decontribuzione Sud' in coerenza con la disciplina europea ed al di fuori delle misure straordinarie del temporary framework. La Decontribuzione Sud è uno sgravio contributivo per le aziende del Sud che nasce per contenere gli effetti del Covid sull’occupazione e per tutelare i livelli occupazionali in aree con gravi situazioni di disagio socioeconomico. La misura è cofinanziata da risorse nazionali e da risorse europee.
L’esonero - spiega il ministro - è stato introdotto con la legge di bilancio per il 2021 (legge n. 178 del 2020) con un’estensione ipotetica fino al 2029 e necessità, al fine del suo concreto riconoscimento, di periodiche autorizzazioni della Commissione europea, configurando un aiuto di Stato (art. 108, par. 3, del Tfue)".
In realtà, quindi, quello che viene scambiata per una decisione del governo di fermare una misura che sta funzionando e che per questo si vorrebbe appunto rendere strutturale, è soltanto una normale e obbligata dialettica in corso con le autorità europee che sulla stessa devono dare un loro parere vincolante. La proroga concessa dalla commissione europea a dicembre scade al 30 giugno 2024 e il governo sta in queste ore cercando di fare pressioni per ottenere una nuova proroga, tutto il contrario quindi di quello che si sente dire su una decisione del governo stesso di bloccare gli aiuti alle imprese del sud.
Inoltre il ministro Fitto, che a Bruxelles è ancora assai rispettato ed ascoltato, prova a togliersi qualche sassolino dalle scarpe, dal momento che le critiche arrivano anche da chi era al governo prima, (ogni riferimento a Conte e al Pd e del tutto voluto). “Alcune domande però sono necessarie avendo letto tra le tante dichiarazioni quelle di ex presidenti del consiglio ed ex ministri degli anni passati. Perché le precedenti richieste quando governavano sono sempre state date per sei mesi o al massimo per 1 anno? Perché non hanno mai ottenuto l’autorizzazione fino al 2029 che oggi richiedono? Anzi, per la precisione, in un caso (Governo Conte ) la seconda richiesta fu fatta anche in ritardo e poi sanata”. Colpito ed affondato.