L’arrivo del picco influenzale 2024-2025 sta alimentando il dibattito: stiamo davvero vivendo una stagione particolarmente intensa? Secondo Gianni Rezza, epidemiologo e professore di Igiene all’Università Vita-Salute S. Raffaele di Milano, la situazione non presenta differenze significative rispetto alle stagioni pre-pandemiche. L’impressione di un’epidemia più aggressiva sarebbe legata a previsioni iniziali e a una percezione amplificata, ma i dati non confermano uno scenario fuori dal comune.

“Le influenze stagionali, in assenza di mutazioni maggiori come lo shift (passaggio di un virus da animale a uomo), presentano sintomi e aggressività clinica simili ogni anno,” spiega Rezza. Le uniche eccezioni si sono verificate nei due anni successivi alla pandemia di COVID-19, quando l’esposizione ridotta dei bambini ai patogeni ha causato un aumento marcato dei casi influenzali. Ora, però, i livelli sono tornati in linea con quelli pre-pandemici.

Tra i virus influenzali attualmente presenti, troviamo i sottotipi H3N2, noto per le sue mutazioni più frequenti, il virus di tipo B, che raramente genera epidemie rilevanti, e il virus H1N1, già protagonista della stagione 2023-2024. “In Italia, lo scorso anno è stata registrata un’incidenza record, con quasi 15 milioni di casi di influenza e sindromi simil-influenzali, la più alta degli ultimi 15 anni,” sottolinea Rezza. Questo rende difficile immaginare una stagione 2024-2025 più intensa.

Rezza invita a non correlare il numero totale di casi al tasso di vaccinazione: “La vaccinazione non influisce sul numero di contagi, ma riduce i casi gravi, proteggendo soprattutto i soggetti fragili.” I bambini, principali vettori del virus, sono il motore dell’epidemia e la loro vaccinazione è una decisione lasciata ai genitori.

La stagione influenzale non si limita all’influenza stessa. “Monitoriamo tutte le sindromi simil-influenzali – spiega Rezza – tra cui il virus respiratorio sinciziale, i parainfluenzali, il metapneumovirus e una componente residua di SARS-CoV-2.” Agenti come il micoplasma, benché noti da anni, possono generare preoccupazioni infondate. Rezza rassicura anche sull’H5N1, un agente nuovo ma non trasmissibile efficacemente tra persone.

Per quanto riguarda la gravità dei sintomi, Rezza evidenzia che qualsiasi febbre può aggravare condizioni preesistenti nei pazienti fragili, ma questo non dipende dalla virulenza di un ceppo specifico. “Nei miei studi, ho riscontrato poche differenze nei sintomi causati da diversi sottotipi influenzali,” afferma l’epidemiologo. Polmoniti e febbri alte potrebbero indicare altre infezioni virali o batteriche, talvolta gravi ma ben note.

Con un picco influenzale atteso per fine gennaio, come accadeva prima del COVID-19, la stagione 2024-2025 si configura come una normale epidemia stagionale. Nonostante l’alto numero di casi attesi, l’esperienza degli anni passati permette di affrontare l’influenza con le giuste misure di prevenzione, senza inutili allarmismi.

La vaccinazione dei soggetti a rischio e l’attenzione ai sintomi restano strumenti essenziali per mitigare l’impatto dell’influenza, confermando che, anche quest’anno, l’inverno influenzale non rappresenta un’emergenza straordinaria.