La crisi delle vocazioni ha attirato in Italia molti sacerdoti di origini straniere. Negli ultimi anni la Diocesi di Asti ha avuto un solo seminarista. Il Movimento Internazionale dei sacerdoti sposati riflette sulla notizia inserita in lastampa.it.
Nella terra dei santi, la crisi delle vocazioni ha spalancato al mondo le porte delle chiese destinate a chiudersi per sempre. Così, oggi, i sacerdoti incaricati di mantenere viva la speranza dei fedeli arrivano dalle terre rigogliose dell’Africa occidentale, dalla vecchia Europa, dall’Asia multireligiosa, dall’America tormentata: nella Diocesi di Asti 10 preti su 60 sono di origine straniera, 14 sono pensionati, una ventina hanno superato i 70 anni. La loro presenza compensa il calo di vocazioni e abbassa l’età media.
«Abbiamo una decina di preti nati in altri Paesi che collaborano con noi: non sono pochi anche se in diminuzione rispetto a qualche anno fa – dice don Marco Andina, vicario generale della Diocesi – Negli ultimi anni c’è stata una politica di apertura e maggiore accoglienza verso i sacerdoti di origini lontane, nata proprio dalla preoccupazione per il calo di sacerdoti e di vocazioni. Pur in accordo, il nostro vescovo Marco è più cauto: ritiene non sia questa la soluzione al problema, anche perché si rischia venga a mancare la capacità di fare un autentico servizio pastorale per la differenza culturale che in alcuni casi può essere anche molto marcata».
Ovunque si diffonde la presenza di sacerdoti di origine straniera e il fenomeno è in aumento. «Nella nostra Diocesi la controtendenza: il clero è in calo come in altre zone d’Italia – precisa don Andina – Ma se da un lato gli stranieri consentono di avere qualche messa in più, non è detto che pastoralmente ci sia un servizio maggiore. Certamente è un fenomeno significativo, ma anche molto discusso all’interno della Chiesa italiana. Sicuramente questa tendenza ci accompagnerà anche nei prossimi anni».
Nell’annuario 2023 compaiono diversi nomi di sacerdoti stranieri. «Sono a tutti gli effetti sacerdoti della Diocesi, che dipendono dal vescovo Prastaro» spiega don Andina. Altri compaiono nell’elenco dei sacerdoti «incardinati» ad Asti, ma a servizio di altre chiese. «In questo elenco – precisa il prelato - con don Italo Francalanci e monsignor Mauro Sobrino ci sono ad esempio don Giovanni Gherca originario della Romania e don Giorgio Mangalath che è indiano, ma che in questo momento lavora negli Stati Uniti». Nella sezione successiva ci sono sacerdoti stranieri di altre Diocesi a servizio di quella astigiana, soprattutto Padri Giuseppini e Salesiani. «Don Barthélémy della Costa d’Avorio è affidato alla Collegiata di San Secondo ed è impegnato in studi. Don Jacques, qui per qualche anno, si trova attualmente nella chiesa di Torretta».
L’elenco aggiunge i gruppi di religiosi a servizio della Diocesi, tra questi l’argentino don Gerardo Bouzada e padre Martin Flynn, irlandese. «I Legionari di Cristo sono andati via il mese scorso, una congregazione molto legata al cardinale Angelo Sodano. Sono stati qui una quindicina d’anni: scaduta la convenzione hanno lasciato le parrocchie. Le congregazioni hanno sacerdoti da tutto il mondo». Don Andina, inoltre, elenca i tanti indiani tra gli Oblati di San Giuseppe, e tra loro ci sono i due collaboratori del parroco di San Paolo, padre Testa: uno africano, l’altro filippino. Oltre ai religiosi stranieri Salesiani cita i Pallottini «che sono a Mongardino», ma che non sono legati direttamente alla Diocesi bensì alle loro congregazioni. «In questi casi, quelle con la Diocesi sono convenzioni: in sostanza questi sacerdoti devono rendere conto al vescovo Prastaro per la parrocchia, ma al loro superiore per permanenza o spostamenti. Per quelli incardinati nella Diocesi, invece, decide il vescovo».
Negli ultimi anni la Diocesi di Asti ha avuto un solo seminarista: Stefano Accornero. Dopo aver ricevuto l’accolitato da Papa Francesco nel novembre scorso, sarà ordinato diacono oggi 17 settembre, e sarà prete probabilmente a giugno. «L’unico seminarista degli ultimi tempi. Calcolando che per “formare” un prete ci vogliono sette anni, vuol dire che per i prossimi sette, Asti non avrà preti “locali”. La presenza dei sacerdoti stranieri è una grande risorsa, al tempo stesso è una questione delicata per l’equilibrio del presbiterio e la configurazione del tipo pastorale che si riuscirà a fare».
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