Le nostre esperienze ci permettono di comprendere il senso della realtà e, nonostante le contraddizioni, le nostre valutazioni divengono sempre più acute regalandoci la dolorosa consapevolezza di come le illusioni hanno gestito la nostra esistenza.
Il 1960 ha aperto una fase tragica nel nostro Paese, io la definirei la lunga stagione della grande illusione perché erano stati eliminati due personaggi dai quali trarre ispirazione per una società alla ricerca di una nuova identità politica, sociale e culturale: erano stati eliminati Olivetti e Mattei entrambi portatori di modelli economici e culturali rivoluzionari per una società arretrata ed ignorante com’era la nostra.
Con il boom economico la popolazione era aumentata, la corruzione si andava diffondendo velocemente, i partiti usavano i posti di lavoro come merce di scambio per consolidare la loro permanenza nelle istituzioni, i “costi della politica” venivano riversati sui cittadini che dimostravano di avere un cattivo rapporto con la proprietà pubblica infatti l'ha sempre considerata alla stregua di una "cosa di nessuno", un “pozzo di San Patrizio” dal quale trarre ogni possibile vantaggio senza rendersi conto del gravissimo danno che veniva recato alla collettività e, allo stesso tempo, lasciando piena libertà a chi nell’ombra tramava per rimettere “sotto i tacchi” un’intera popolazione con la scusa del comunismo.
Non essendoci lavoro per le nuove generazioni, la politica con una scelta suicida trasformò il diritto allo studio in un bene di facile consumo riuscendo a parcheggiare milioni di studenti nelle scuole per anni: fu il periodo dei “pezzi di carta”, diplomi e lauree regalati che hanno prodotto una classe dirigente incompetente, fallita e senza scrupoli.
La democrazia di carta e il migliorato tenore di vita della collettività si reggevano su ciò che Enrico Mattei aveva costruito fino al suo omicidio, un omicidio di Stato eseguito dai servizi segreti piazzando una carica di esplosivo nel dispositivo di decollo/atterraggio dell’aereo privato che utilizzava pe i suoi spostamenti. Il patrimonio pubblico aveva dato la spinta iniziale per impostare un nuovo Paese su basi moderne e competitive ma questo cozzava contro gli interessi degli alleati per questo gli industriali, i golpisti e la mafia hanno potuto sopravvivere a lungo nel nostro Paese operando indisturbatamente ad ogni livello impoverendone gradualmente l'assetto economico e culturale.
La cronistoria è la lanterna che ci permette di orientarci negli eventi di un periodo funesto che non ha ancora esaurito il suo potenziale dirompente, sono i tragici personaggi che compaiono dal buio delle trame che ci offrono una chiave di lettura parziale della criminalità istituzionale che, a mio parere, ancora opera asservendo elementi portanti dello Stato ai propri interessi.
Il primo tentativo di golpe militare in Italia avvenne nel ’64 ma fu solo rimandato di qualche anno!
Per i cittadini ignari di cosa stava strisciando dietro le quinte del potere la vita continuò senza scosse fino al 1967 quando il senatore Ferruccio Parri rilasciò un’intervista e Lino Jannuzzi ed Eugenio Scalfari - direttore dell’Espresso – pubblicarono alcuni articoli che scatenarono una campagna giornalistica attraverso la quale venne ricostruita l’intera vicenda: i due iniziatori della campagna - Scalfari e Jannuzzi - furono querelati dal generale, condannati in primo grado per calunnia ma la vicenda si concluse con la remissione della querela presentata da de Lorenzo.
Alle elezioni politiche del 19 maggio 1968 De Lorenzo fu eletto alla Camera dei deputati tra le file del Partito Democratico Italiano di Unità Monarchica. In quell'elezione furono eletti anche Eugenio Scalfari (alla Camera) e Lino Jannuzzi (al Senato), entrambi con il partito socialista. A Montecitorio De Lorenzo fece parte della commissione difesa e con la mozione n. 484 del 9 ottobre 1968 tentò di organizzare e decidere come si sarebbero svolti i lavori di inchiesta parlamentare che lo riguardavano.
La commissione parlamentare d'inchiesta che si occupò del caso, istituita con la legge 31 marzo 1969, n. 93 e presieduta da Giuseppe Alessi, terminò i lavori nel dicembre del 1970 escludendo perentoriamente ogni tesi dolosa di tentato colpo di stato: il Piano, rimasto allo stato di bozza, non fu ritenuto attuabile, non essendo emersa alcuna prova a favore dell'esistenza di un proposito di organizzare un golpe. Parte del materiale raccolto dagli organismi che avevano indagato fu coperto da omissis per motivi di sicurezza, facendo mancare perciò il necessario materiale d'esame, e anche la lista dei «ricercati» andò perduta (mentre dei fascicoli SIFAR si dispose la distruzione): da questo si può comprendere la pericolosità dei rapporti istituzionali che si intrecciavano tra servizi segreti, militari (che erano la stessa cosa) e alcuni esponenti politici che erano alla guida del Paese in quel tragico periodo.
Nel 1971 lasciò i monarchici e aderì al gruppo del MSI, dove venne rieletto nel 1972 fino alla sua morte avvenuta nel 1973. Secondo alcuni riscontri giornalistici, de Lorenzo negli anni '70 sarebbe stato iscritto alla loggia massonica P2 di Licio Gelli. Poco prima di morire si vide revocare la cittadinanza onoraria del comune di Cotignola, conferita per i meriti acquisiti durante la Resistenza.
Nel 1990 il governo Andreotti VI deliberò la rimozione degli omissis ed emerse che anche la sede del PSI avrebbe dovuto essere occupata dai carabinieri: far eleggere al Parlamento Scalfari e Jannuzzi - i due giornalisti che avevano fatto scoppiare il caso – per il partito socialista era un dovere morale!
Nel territorio nazionale si andavano formando gruppi armati clandestini di matrice neofascista con aderenze nei servizi segreti, Forze Armate, CIA e NATO che daranno inizio alla stagione dello stragismo di stato nel ’69 con la bomba fatta esplodere nella filiale della BNL di p.zza Fontana a Milano il pomeriggio del 12 dicembre 1969.
Successivamente sarebbero emersi frammenti di strutture paramilitari segrete facenti capo al programma anti comunista denominato Stay-behind, finanziate in parte dalla CIA e coordinate dalla NATO che impiegava elementi della SHAPE infiltrati nei comandi FTASE.
Sempre in quel periodo si andava preparando il golpe Borghese che fu tentato tra il 7 e l’8 dicembre del 1970, quella notte vi fu un generale movimento di uomini e mezzi militari a Roma, Milano e in altre importanti città italiane ma una telefonata interruppe la prosecuzione delle operazioni militari. A differenza del “Piano Solo”, Borghese aveva mobilitato la parte delle Forze Armate infedeli alle Istituzioni repubblicane e prevedeva l'occupazione del Ministero dell'Interno, del Ministero della Difesa, delle sedi Rai e dei mezzi di telecomunicazione (radio e telefoni) e la deportazione degli oppositori politici; era previsto anche il rapimento del presidente della Repubblica Giuseppe Saragat e l'assassinio di Angelo Vicari, a quel tempo capo della Polizia di Stato: tutto questo sarebbe stato accompagnato da un proclama ufficiale alla nazione, che Borghese stesso avrebbe letto dagli studi occupati della Rai, tale documento fu ritrovato successivamente, ecco di seguito il testo:
“Italiani, l'auspicata svolta politica, il lungamente atteso colpo di stato ha avuto luogo. La formula politica che per un venticinquennio ci ha governato, e ha portato l'Italia sull'orlo dello sfacelo economico e morale ha cessato di esistere. Nelle prossime ore, con successivi bollettini, vi saranno indicati i provvedimenti più importanti ed idonei a fronteggiare gli attuali squilibri della Nazione. Le forze armate, le forze dell'ordine, gli uomini più competenti e rappresentativi della nazione sono con noi; mentre, d'altro canto, possiamo assicurarvi che gli avversari più pericolosi, quelli che per intendersi, volevano asservire la patria allo straniero, sono stati resi inoffensivi. Italiani, lo stato che creeremo sarà un'Italia senza aggettivi né colori politici. Essa avrà una sola bandiera. Il nostro glorioso tricolore! Soldati di terra, di mare e dell'aria, Forze dell'Ordine, a voi affidiamo la difesa della Patria e il ristabilimento dell'ordine interno. Non saranno promulgate leggi speciali né verranno istituiti tribunali speciali, vi chiediamo solo di far rispettare le leggi vigenti. Da questo momento nessuno potrà impunemente deridervi, offendervi, ferirvi nello spirito e nel corpo, uccidervi. Nel riconsegnare nelle vostre mani il glorioso TRICOLORE, vi invitiamo a gridare il nostro prorompente inno all'amore: ITALIA, ITALIA, VIVA L'ITALIA!”
Sempre successivamente fu ritrovato il programma del nuovo governo, il contenuto esprimeva ovviamente una ferrea fedeltà al Patto Atlantico (visto che gli americani lo avevano salvato dalla fucilazione era il minimo); la costituzione di un “patto mediterraneo” tra Spagna, Portogallo e Grecia tutti stati sotto un regime totalitario; l’apertura di relazioni diplomatiche con la Rhodesia e il Sudafrica; la richiesta di ingenti finanziamenti al governo americano come contropartita vi era l’invio di truppe italiane nella guerra del Vietnam e del Sud-Est asiatico.
Mentre era in atto il golpe partì il contrordine da Borghese e congiurati fecero tutti ritorno nelle loro caserme.
"Secondo la Commissione parlamentare d'inchiesta sulla loggia P2, fu Licio Gelli a impartire il contrordine ai cospiratori per farli rientrare nei ranghi. Vi sono risultanze processuali dei contatti di Gelli con i servizi e con i carabinieri in vista del colpo di Stato. Quasi trent'anni più tardi è emerso come Gelli fosse stato uno dei primi associati al Fronte Nazionale e che al tempo del golpe Borghese migliaia di ufficiali massoni partecipavano a sodalizi eversivi. Parimenti da fonte processuale sarebbe ipotizzabile che Gelli avesse avuto la missione di catturare il presidente Saragat".
Comunque quel mancato golpe fu affollatissimo, vi avevano aderito molti personaggi di spicco sembra che l'iniziativa di occultare i nomi di maggior rilievo nelle varie inchieste si debba far risalire ad Andreotti, che al tempo era ministro della Difesa, sicuramente i vertici di governo hanno provveduto a proteggere i colleghi di partito coinvolti. Apparì chiara la partecipazione di parte della massoneria italiana nella conduzione del tentato colpo di Stato, attraverso l’iniziazione di quattrocento ufficiali. In particolare, emersero i nomi di Gavino Matta e Giovanni Ghinazzi, entrambi della "loggia coperta" denominata "comunione di Piazza del Gesù", ed entrambi veterani falangisti della guerra di Spagna.
Agli altri congiurati che non riuscirono a defilarsi per tempo o non godevano di particolari protezioni comunque fu garantito di fatto un trattamento restrittivo di favore, consistente nella detenzione in agiate cliniche private, a causa di supposte condizioni critiche di salute come ad esempio Sandro Saccucci e Remo Orlandini; quest'ultimo, che aveva da anni rapporti con elementi del SIOS, articolazione dei servizi segreti italiani nell'esercito, ricevette anche, nel luogo ove era trattenuto, la visita di Miceli, che gli promise protezione in cambio del suo silenzio. È stata suggerita una diretta connessione tra il golpe Borghese e l'attività (mai completamente chiarita) della rete Gladio.
Il colpo di Stato in questione sarebbe stato appoggiato anche da Luciano Liggio, Gaetano Badalamenti e Stefano Bontate, ovvero dai vertici mafiosi del tempo. Di "certi passaggi del golpe Borghese, (...) in cui sicuramente era coinvolta la mafia siciliana" parlò anche Giovanni Falcone dinanzi alla Commissione antimafia nel 1988.
Per evitare l'arresto, Borghese fuggì in Spagna, dove rimase fino alla morte, avvenuta a Cadice il 26 agosto 1974, non rientrando in Italia neanche dopo che, nel 1973, fu revocato l'ordine di cattura spiccato nei suoi confronti dalla magistratura italiana. Dopo una prima condanna di numerosi congiurati, del 14 luglio 1978, la sentenza d’appello del 27 novembre 1984 mandò tutti assolti. Il 25 marzo 1986 la Cassazione confermò l’assoluzione di tutti gli imputati. Alla faccia del garantismo.
Ma gli attacchi ad una giovane Repubblica non sono provenuti solo dai militari. Occorre considerare e approfondire i grandi scandali che hanno sconvolto e continuano a sconvolgere l’equilibrio politico, economico e ambientale del nostro Paese per scorgere nelle pieghe di una debole e sviata democrazia le tracce degli inganni consumati a nostro danno da coloro che dovrebbero aver cura dei nostri interessi legittimi invece non lo fanno.
(Seguito di Una democrazia di carta. Seconda parte)