Scontro sulla vendita dell'Ilva ad ArcelorMittal, le ragioni del Governo e quelle di Comune e Regione
Come sempre avviene, almeno in Italia, non sembra che alla politica interessi affrontare i problemi cercando di risolverli, possibilmente, nella loro integrità. E questo accade in particolar modo quando sul piatto della bilancia ci sono gli interessi ambientali che si confrontano con quelli industriali.
In passato, la vicenda dell'Acna di Cengio ha rappresentato perfettamente questo tipo di situazione. All'azienda Acna le istituzioni locali prima e nazionali dopo hanno permesso di inquinare la valle del Bormida per decenni, provocando danni ambientali gravissimi con un aumento nell'incidenza per le morti per cancro tra la popolazione che viveva in quei luoghi.
Il lavoro messo come contrappeso alla salute, sulla stessa bilancia. Questo è quanto accadde ieri per l'Acna, questo è quanto accade oggi per l'Ilva.
Il ministro dello Sviluppo Calenda ha assegnato l'Ilva al gruppo ArcelorMittal. Il sindaco del comune di Taranto Rinaldo Melucci ed il Presidente della Regione Puglia Michele Emiliano sono ricorsi al TAR sulla tempistica di adeguamento ambientale che il gruppo acquirente metterebbe in atto nel piano presentato al Governo.
Per Calenda, nel piano di ArcelorMittal sono state presentate tutte le proposte su ogni singolo tema relativo all'impatto ambientale del nuovo stabilimento. Da parte di regione e comune, però, non si vuole cedere e rinunciare al ricorso, utilizzato come strumento per avere una forza contrattuale al tavolo delle trattative tra le varie parti sociali, per definire un accordo che possa dare il via all'acquisto e risolvere la difficile situazione industriale e ambientale della città di Taranto.
Per il ministro Calenda, Melucci ed Emiliano dovrebbero rinunciare al ricorso e mettersi seduti al tavolo per illustrare il loro punto di vista sul progetto, fare bella figura al riguardo, perché in questo modo potranno poi dichiarare "io l'avevo detto", e tornarsene a casa a mani vuote perché saranno dei vasi di cristallo tra dei vasi di coccio, non avendo alcuna forza contrattuale per opporsi ad azienda e Governo.
Per Emiliano e Melucci, ArcelorMittal dovrebbe accelerare i tempi del piano ambientale e, per quanto riguarda la produzione, dovrebbe convertire uno degli altiforni che non sono più in funzione in modo da essere alimentato a gas, riducendo così il ricorso all'uso del carbone per i processi produttivi, con il risultato di migliorare le condizioni ambientali del sito e della città di Taranto.
L'acquirente, però, minaccia di non continuare le trattative per l'acquisto in presenza di tale ricorso ed il ministro Calenda, invece di mediare, fa da sponda ad ArcelorMittal affermando che quanto stanno facendo Emiliano e Melucci porterà alla chiusura dell'Ilva.
Invece, secondo un'interpretazione del presidente della regione Puglia, Calenda userebbe il ricorso come foglia di fico per coprire un suo macroscopico errore nell'assegnazione della gara per la vendita dell'Ilva ad ArcelorMittal che, in base alla normativa europea sull'antitrust, non può acquisire ulteriori acciaierie in Europa se non vendendo o chiudendo uno o due impianti tra quelli già in suo possesso.
L'Europa avrebbe fatto presente il problema alla stessa azienda ed all'Italia. Calenda, pertanto, per evitare di dover ammettere il suo macroscopico errore, utilizzerebbe il ricorso al Tar di Comune e Regione per giustificare il naufragio della trattativa di acquisto.
Anche il presidente del Consiglio Gentiloni è intervenuto direttamente nella vicenda chiedendo a Melucci ed Emiliano «di ritirare il ricorso al Tar e di non mettere a rischio interventi per la bonifica ambientale e il lavoro che Taranto aspetta da anni», aggiungendo la sua disponibilità ad un confronto.
Confronto cui il presidente Emiliano ha risposto di accettare, ricordando anche che «il ricorso al TAR ha il fine esclusivo di tutelare la salute dei cittadini e dei lavoratori da uno stabilimento per il quale è attualmente in corso un processo penale per disastro ambientale e avvelenamento di sostanze alimentari davanti alla Corte d'Assise di Taranto e per il quale occorre impedire che le condotte di reato siano reiterate.»
L'impianto di Taranto è stato parzialmente sequestrato dalla Procura nell'estate del 2012 per le emissioni inquinanti fuorilegge che, nel corso degli anni, avrebbero provocato la morte di centinaia di persone.