Sono giornate tristi per il calcio italiano e non solo perché le partite a stadio vuoto sono come il sesso per telefono: saranno pure di soddisfazione per qualcuno, ma ogni tanto ci vuole la carne cruda. Soprattutto, però, siamo desolati per la scomparsa di Paolo “Pablito” Rossi, a 64 anni.

Se la dipartita di Diego Maradona non ha stupito più che tanto l’ opinione pubblica, per via della vita spericolata dell’argentino, né solleva un particolare sconcerto la bufera familiare, ereditaria e mediatica che si è scatenata un secondo dopo l’ultimo respiro, per Paolino è tutt’altra storia, segnatamente per noi italiani.

Che il calcio piaccia o meno, che della nazionale e della patria importi più a qualcuno, che si sia esperti di dribbling, gioco a zona e play off, resta il fatto che quell’epopea sportiva è indimenticabile, anche per il semplice osservatore.

La nostra povera Italia, in realtà, navigava sempre in mezzo a onde tempestose, nel 1982: si pensi solo al “suicidio” di Roberto Calvi e un delitto del “mostro” di Firenze nello stesso periodo dei mondiali, l’assassinio di Carlo Alberto Dalla Chiesa con moglie e guardia del corpo, il successivo 3 settembre e ci fermiamo qui, ma… la nazionale era sempre un momento di pausa tra un affanno e l’altro, una kermesse che coinvolgeva nonne e prozie che nemmeno conoscevano l’esistenza, di quei giovanotti.

La squadra s’era ben comportata già in Argentina, quattro anni prima, venendo poi spazzata via dai tremendi olandesi, ma rimediando un onorevole quarto posto e mettendo in luce  nuovi talenti, tra essi Paolo.

Da profanissimi in materia non entreremo in merito a polemiche sul numero schiacciante degli juventini, l’ “indio” Bearzot che ne sarebbe stato succube, le strane performance, piatte, scialbe al limite della prestazione di una squadra materasso al primo turno (rischiammo di prenderle col Camerun di Milla e N’ kono), con l’improvvisa accensione dell’interruttore che condusse alla marcia trionfale verso la coppa: dopo aver steso, con fatica ma nemmeno troppa rispetto ai valori in campo, il Brasile di Falcao e Socrates e quella Germania che faceva meno paura di altre formazioni meno blasonate le quali, viceversa, riuscivano sempre a metterci in crisi.

Paolo risorse proprio ai mondiali del 1982, dopo l’amara vicenda del coinvolgimento in un caso di “combine” e scommesse costatogli due anni di squalifica ma, professatosi sempre innocente e perdonato, si riprese brillantemente in carriera. In effetti, rispetto a tutto ciò che si è saputo in seguito, quella contro di lui apparve una persecuzione, che forse, anzi di sicuro, gli tolse serenità.

Sposato in prime nozze a Vicenza, dove aveva spiccato il volo, in seconde con una giornalista, tre figli in tutto, Paolo aveva sempre conservato dolcezza e bon ton, anche davanti a gossip all’epoca non proprio carini su una presunta “amicizia particolare” con un collega: tendenza di tutto rispetto, ma smentita da  coloro che lo hanno conosciuto.

Infine Pablito è tornato nella sua Toscana, sempre gentile, col volto di un bambino solo un po’ invecchiato, lo stesso di quando lo avevamo conosciuto. Durante il funerale, gli hanno perfino rubato in casa: e meno male che ci sono le restrizioni.

Ciao Paolo, grazie, a tutti ma ora particolarmente a te, per quel 5 luglio 1982. Chi scrive stava lavorando, insegnando in una classe di recupero: sentivamo urla disumane e non si capiva bene il perché. Una volta fuori, davanti a un capannello in un negozio di televisori (ebbene sì, era ancora preistoria), lei barcollò ascoltando che stava finendo 4-2 (sì, perché il quarto goal di Antognoni c’era) e un ragazzino sconosciuto, per la gioia, la baciò su una guancia.