L'Editoriale di Luciano Magaldi:"Titolo: "la Grande Fuga: come la Globalizzazione ha Dato il Via ad una Corsa all'Indietro verso il Futuro"
Nell’odierno flusso spazio-temporale, la nostra sfera planetaria si è via via cangiata in un complesso laboratorio interesistenziale legato ad un multisfaccettato intreccio di forze, dove la globalizzazione e la deglobalizzazione emergono come primedonne della dinamica delle nazioni e delle società.
La globalizzazione, caratterizzata da interconnessioni e interdipendenze extraconfinali, si è ravvisata peculiarmente alla fine del XX e dell’inizio del XXI secolo: forgiata dagli avanzamenti tecnologici, logistici e comunicativi, essa ha stimolato livelli inverosimili di locupletazioni commerciali, investimentali e culturali.
Le nazioni si sono sempre più intoppate e invischiate in una “rete di reti” globale, con zampillanti fiotti di beni, capitali e idee che hanno trasceso ogni ordinaria demarcazione: questa interconnessione non solo ha propulso crescita economica, ma ha anche promulgato un senso di destino condiviso, giacché gli eventi in un angolo del mondo risuonano nel restante.[1]
Avverso, la marea globalizzante non ha nettato uniformemente tutte le coste: l’ultima decade ha presenziato ad una palese reazione contro gli sfreni globalizzativi, mutatisi in guisa di deglobalizzazione: essa, soprattutto dal 2008, alimentata da crucciosi rebus sull’ineguaglianza economica, la delocalizzazione lavorativa e la dissipazione della sovranità, ha riverberato una montante disillusione con le promesse di un’illimitata benestanza intercontinentale.[2]
Subitanee misure protezionistiche, tensioni commerciali e retoriche nazionaliste sono giunte alla ribalta, sfidando l’idea di un’apolidità globale e caldeggiando un neo-nazionalismo economico: le ripercussioni pecuniarie incombono vastamente in questo panoramico approccio di evoluzione planetaria.
La globalizzazione ha prolificato una prosperità inaudita per alcuni, sobillando milioni di individui dalla povertà estrema e filiando lo sviluppo economico nei mercati emergenti: in aggiunta, ha anche accresciuto il divario tra gli abbienti e i depauperati, inasprendo l’ineguaglianza reddituale all’interno e tra le nazioni. Ulteriormente, l’ascesa deglobalizzante gareggia avversamente mediante l’interruzione delle catene logistiche di approvvigionamento prestabilite, inibendo gli investimenti transfrontalieri e precludendo il franco flusso di beni e servizi.
La palingenesi protezionistica rischia di fomentare dispute commerciali, smorzare l’ascesa economica e minare i lucri germinati da decadi di integrazione globale; oltre all’economia, le ripercussioni politiche della globalizzazione/deglobalizzazione sono altresì abissali: la globalizzazione ha riabozzato lo scenario geopolitico, con un vasto aduggiamento delle nozioni tradizionali di sovranità e potere.[3]
Gli avvicendamenti culturali e le interconnessioni hanno innescato un senso di cittadinanza globale, trascendendo le uniformità nazionali e facilitando l’empatia extraconfinale. Pur tuttavia, la globalizzazione ha anche armonizzato la cultura e il soverchiante imperialismo di vecchia data, corrodendo le tradizioni e le identità locali di fronte al moto della prima potenza occidentalizzante. Avversamente, la ricostituzione di ideologie nazionalistiche e protezionistiche ha riavvampato xenofobia, sentimenti antimmigratori, sfibrando quindi la coesione sociale e nutrendo neodivisioni sociali.
Antonimamente alla globalizzazione, la deglobalizzazione si riferisce al processo di diminuzione dell’interdipendenza e dell’integrazione tra nazioni: essa ha locupletato il suo slancio negli ultimi anni, guidato da difformi fattori tra cui il protezionismo economico, la politica nazionalista e la pandemia globale.[4]
L’avanzamento deglobalizzante segnala un’alterazione dello scacchiere/ordine mondiale, con plausibili implicazioni per la dinamica del governo globale: essa gareggia controsenso con il sovrastante consenso neoliberale che ha avvinghiato la politica mondiale ultradecennalmente, dissertando un ritorno alla sovranità nazionale e al controllo locale. E sicché la fiumana deglobalizzante potrebbe affrontare alcuni dei gemiti cagionati dai neoliberisti, come la sperequazione reddituale e la degradazione ambientale, arrischia anche di esacerbare le tensioni geopolitiche e di osteggiare la cooperazione intercontinentale su realtà fattuali quali il cambiamento climatico e la salute pubblica. Eppurnondimeno, nei più recenti anni si è presenziati ad un ragguardevole dislocamento verso la deglobalizzazione, quantificata sotto la vestizione di smobilitazione dall’integrazione globale verso un ritorno all’accortezza regionale.
Questo trasfigurante atto contrassegnato da un rigenerato nazionalismo economico, dall’ascesa delle politiche protezionistiche e da una torreggiante cooperazione regionale, ha sobillato accademici e decisori politici ad investigare più penetrantemente nella poliedrica rete di fattori che spingono questa ricalibrazione globale.
Una delle forze precipuamente trascinanti alle spalle del fenomeno deglobalizzante è l'amplissima disparità economica sia all'interno che tra le nazioni: allorquando la globalizzazione prometteva un’aurifera prosperità con fitti interscambi logistici ed investimentali, la realtà fattuale si è metamorfata in peggio per le masse; i chimerici benefìci della globalizzazione si sono diramati troppo difformemente, cagionando un panoplio di disparità socio-economiche tra nazioni sviluppate e in via di sviluppo; invero, la montante inappagatezza verso lo status quo ha coadiuvato il nostalgico protezionismo nelle maglie e ordito del tessuto delle classi sociali meno abbienti.[5]
La marcia incessante degli avanzamenti tecnologici ha anche rivestito un ruolo prominente nella plasmatura panoramica a livello geo-economico globale, patrocinando le tendenze deglobalizzanti: sovveniamoci anche dell’automazione e della digitalizzazione che hanno dissestato i processi produttivi al servigio della delocalizzazione dei posti di lavoro nel settore manifatturiero, incrementando i perturbamenti disoccupativi.
Oltre a tutto ciò, un'altra tendenza discernibile tra i rudimenti della deglobalizzazione che ritroviamo, viene annoverata nelle vesti di passaggio dall'integrazione globale al regionalismo: in guisa di spettatori inabili fronteggianti le incertezze di un ambiente globale turbolento, i paesi si stanno sempre più orientando verso alleanze regionali e/o blocchi commerciali come utensili di miglioramento della propria resilienza economica collettiva.
Sovveniamoci, or dunque, delle iniziative di integrazione regionale come l'Unione Europea e l'Accordo Globale e Progressivo per il Partenariato Trans-Pacifico (CPTPP) che ben esemplificano questa tendenza verso una cooperazione regionale più copiosa, offrendo un contrappunto all'indebolimento del soverchiante cronoprogramma di sforzi liberalizzanti del commercio globale.[6]
Gli svolgimenti commerciali si sono appropinquati al mulinello della dottrina deglobalizzante, cogitando cause e conseguenze: le controversie commerciali in ascesa epitomizzate dalla guerra commerciale sino-americana, hanno sbatacchiato i mercati globali e sparso inquietudini, pressando le imprese a rivalutare le loro vedute strategico-logistiche di approvvigionamento e rivalutando un guardingo appropinquamento al commercio transfrontaliero.
Il rientro dal multilateralismo, sinossizzato dalla smobilitazione a stelle e strisce dagli accordi internazionali quali l'Accordo di Parigi sul Clima e l'Accordo Nucleare con l'Iran, rimarca la condiscendente azione deglobalizzante e l'accentuazione dell'unilateralismo negli affari internazionali.[7]
Ma approfondiamo il quesito: la deglobalizzazione, contrassegnata dal ritiro dai princìpi del libero scambio di flussi di capitale di interscambi cooperativi internazionali, aggiunge una serie di sfide multidimensionali di scenari economici, politici e sociali: essa comporta ragguardevoli sfide economiche, sconquassando le catene di approvvigionamento prestabilite, riducendo i guadagni di efficienza derivanti dalla specializzazione con abissali vincoli alla franca crescita economica; bensì, si minano anche i lucri delle benefiche economie di scala, bloccando le opportunità di innovazione e di trasferimento tecnologico, impauperando la benestanza collettiva.
Aggiuntamente, la “catarsi” deglobalizzante alimenta tensioni internazionali sicché le politiche protezionistiche germinano attriti commercial-diplomatici: le agende nazionalistiche, guidate dalla bramosia di salvaguardia delle industrie domestiche e dell'occupazione interna, di sovente tralasciano i pregiatissimi benefìci della cooperazione e dell'integrazione globali. Ciononostante, l’abbandono degli accordi con le istituzioni internazionali aduggiano gli sforzi collettivi di fronteggiamento delle sfide globali come il cambiamento climatico, le pandemie e la povertà, aggravando le disarmonie globali e affiaccando le strutture neoliberali di gestione multilaterale.
Eppurvero, la deglobalizzazione amplifica le sfide sociali: le interruzioni dei flussi commerciali e degli investimenti cagionano perdite di posti di lavoro e stagnazione salariale, irrompendo in guisa sproporzionata le comunità più vulnerabili; nondimeno, la labile ed esigua cooperazione culturale e internazionale vincola il progresso sociale, la diffusione di idee, di valori e di elucubrazioni creative essenziali per la promulgazione della vicendevole tolleranza, comprensione e cittadinanza globale.
Orbene, sovveniamoci adesso dell’esemplicazione del Regno Unito, un lungimirante caso studio pertinente delle sfide corredate dall’adorno deglobalizzante, ovvero la Brexit: la risoluta decisione a furor di popolo di abbandono dell'Unione Europea; allorquando i sostenitori pro-Brexit hanno vastamente dissertato per il recupero della sovranità nazionale e il ritorno al controllo sull'immigrazione e sulle politiche commerciali, il districamento dall'UE ha profuso meramente incertezza economica, inquietudine commerciale e tensioni diplomatiche. La reintroduzione dei controlli doganali e l'allineamento regolamentare hanno osteggiato il commercio senza soluzione di continuità con l'UE, generando interruzioni delle catene di approvvigionamento, aumentati costi per le imprese e miserevoli investimenti esteri.[8]
Ma citiamo anche il secondo caso studio: negli States, la voglia sfrenata alla deglobalizzazione si è espletata palesemente nell'adozione di politiche commerciali protezionistiche con l'amministrazione Trump. L'imposizione di tariffe doganali su importazioni da “compagni” commerciali chiave quali la Cina, e la rinegoziazione di accordi aziendali, riverbera la bramosia di riequilibrio del deficit commerciale e della protezione socio-economica delle industrie domestiche.[9]
Ad ogni modo, queste misure hanno scatenato reazioni ritorsive, innalzando i livelli di tensioni commerciali; e conseguentemente, un ritorno all’alta volatilità dei mercati. In aggiunta, il ritiro dagli accordi internazionali come l'Accordo di Parigi sul Clima e l'Accordo Nucleare con l'Iran ha smembrato gli sforzi di cooperazione globale, isolando gli Stati Uniti e ridimensionando la sua influenza sulla scena mondiale.
Conclusioni
Il mondo sta assistendo ad una profonda trasformazione del suo abbigliamento economico e geopolitico grazie all'ascesa della deglobalizzazione.
L'ascesa della deglobalizzazione, ormai imminente, contrassegnata dal protezionismo economico e dal nazionalismo politico, porterà significative sfide all'ordine mondiale esistente, ma in mezzo a queste sfide ci sono sempre opportunità per le nazioni di rivalutare le loro priorità e forgiare un nuovo percorso, un percorso che si mobiliti verso un futuro più sostenibile ed equanime, aprendo in siffatta guisa una sostenuta e maggiore inclusività e concertata prosperità.
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1. Dr. Nayef R.F. Al-Rodhan, Ambassador Gérard Stoudmann, “Definitions of Globalization: A Comprehensive Overview and a Proposed Definition” Geneva Centre for Security Policy, 19 giugno 2006 https://www.hillkm.com/yahoo_site_admin/assets/docs/Definitions_of_Globalization.347110826.pdf
2. Marco Lossani, Francesco Scinetti, Nicoletta Scutifero, “Deglobalizzazione o slowbalisation?” Osservatorio CPI, 30 giugno 2023 https://osservatoriocpi.unicatt.it/ocpi-pubblicazioni-deglobalizzazione-o-slowbalisation
3. Alessandro Terzulli, Pierluigi Ciabattoni, “Sviluppo e squilibri nell’economia mondiale. Il futuro della globalizzazione: protezionismo vs. apertura dei mercati” Harvard Business Review Italia, Ottobre 2017, pagg. 91-95 - https://www.sace.it/docs/default-source/ufficio-studi/pubblicazioni/il-futuro-della-globalizzazione-protezionismo-vs-apertura-dei-mercati.pdf?sfvrsn=36c43fbe_2
4. Alessia Berardi, Marie Brière, “La deglobalizzazione potrebbe migliorare la diversificazione, ma anche esacerbare il contagio finanziario” Amundi Asset Management, giugno 2020 - https://www.amundi.it/investitori_qualificati/ezjscore/call/ezjscamundibuzz::sfForwardFront::paramsList=service=ProxyGedApi&routeId=_dl_4bbf9fcd-03f1-4708-9916-1a91c84d6c20_download
5. Lorenzo Martini, “Vantaggi e svantaggi della Globalizzazione: Dani Rodrik e Jagdish Bhagwati a confronto”, tesi etd-01132019-220244, 4 febbraio 2019 - https://etd.adm.unipi.it/t/etd-01132019-220244/
6. Fabio Mucera, “Trans-Pacific Partnership: quanto è rilevante l’accordo per Washington e Pechino?” IARI (Istituto Analisi Relazioni Internazionali), 14 luglio 2023 - https://iari.site/2023/07/14/trans-pacific-partnership-quanto-e-rilevante-laccordo-per-washington-e-pechino/
7. Claudio Gerino, “Nucleare iraniano, Trump gela tutti: "Ho preso una decisione", ma non la rivela. I media: porterà fuori gli Usa dall'intesa” Repubblica.it, 21 settembre 2017 - https://www.repubblica.it/esteri/2017/09/21/news/nucleare_iraniano_vertice_onu_mogherini-176074701/
8. Shona Murrey, “Il Regno Unito rimpiange la Brexit, ma non è facile tornare nell'Ue” it.Euronews.com, 28 settembre 2023 - https://it.euronews.com/my-europe/2023/09/28/il-regno-unito-rimpiange-la-brexit-ma-non-e-facile-tornare-nellue
9. Francesca Ghiretti, “Donald e la minaccia cinese”, AffariInternazionali.it, 7 gennaio 2024 - https://www.affarinternazionali.it/donald-e-la-minaccia-cinese/