Il signor “X” nacque come Malcom Little il 19 maggio 1925 a Omaha, Nebraska. Suo padre,  Earl, era pastore battista e attivista dei diritti degli  afroamericani, nonché seguace delle teorie di Marcus Garvey per il ritorno in Africa del popolo nero. La mamma Louise, una ragazza di origini caraibiche e di padre bianco, trasmise al figlio la pelle chiara, unita a capelli rossicci.

Più tardi Malcom ammetterà che, in gioventù, il ritorno in Africa di tutti i neri non gli sembrava un argomento interessante: lui, da americano, vedeva l'Africa come un posto popolato da gente bizzarra, per non dire selvaggia.

A causa della carnagione "sbiadita", Malcom si convinse di essere detestato dalla madre: così poco “black”, le ricordava la vergogna del sangue dei bianchi che scorreva nelle loro vene. 

Si trattava, per papà Earl, del secondo matrimonio; dal primo aveva avuto tre figli tra cui la maggiore, Ella, costituì sempre per Malcom un punto di riferimento. Dal secondo  ne nacquero otto. Qualcuno sostiene che l'ottavo nacque da una relazione di Louise dopo la vedovanza, ma Malcom non avallò mai questa tesi.

Il capofamiglia viene descritto come manesco verso moglie e prole. Erano poveri. In più, Earl si distinse per la sua attività propagandistica; dovettero cambiare più volte città prima di approdare a Lansing, nel Michigan. La loro casa fu incendiata. Il capofamiglia non smetteva le sue predicazioni: lo trovarono smembrato da un tram. I colpevoli rimasero sconosciuti. Stando a certe voci, c’era di mezzo un movimento razzista, la Legione Nera, composto anche da italiani…

Le disgrazie erano il pane quotidiano di quella famiglia. La mamma, vedova e indigente, fu costretta dai servizi sociali a dare i bambini agli istituti o in adozione  e finì per perdere il senno.

In queste condizioni Malcom, che aveva dovuto rinunciare ai desiderati studi giuridici, crebbe pieno di risentimento e di rabbia. Tali circostanze, unite ad un obiettivo disagio sociale e ad un carattere irruento e un po’ arrogante, lo portarono presto a condurre la vita dello sbandato. La sorellastra  “Ella”, che per un po’ lo ospitò a Boston, fece del suo meglio per correggerlo, ma finì per accettarlo com’era, tutto sommato affascinata dalla personalità del ragazzo. In seguito lo seguì nelle sue scelte e lo aiutò anche finanziariamente, quando i fratelli lo abbandonarono al suo destino.

Malcom fece un sacco di lavori, tipici della sua condizione, come l'inserviente sui treni, ma finì per specializzarsi in quello del lustrascarpe nei night, dove era molto richiesto. Trasferitosi a New York,  si diede a furti e rapine, spalleggiato dall’amico fraterno Shorty. Arrotondava procurando ragazze - squillo a facoltosi clienti: maturò la convinzione che i bianchi fossero tutti dei depravati.

Infine si dedicò allo spaccio di stupefacenti, di cui riforniva molti noti musicisti dell’epoca e si ritrovò tossicodipendente a propria volta: il suo quartier generale era ad Harlem.

Indossava stravaganti abiti denominati “ zoot suit”, tipici dei  vanitosi teppistelli neri e, aiutato dal fisico aitante, faceva bella figura sulla pista da ballo. Frequentava solo ragazze bianche, che umiliava.

La sua donna “ufficiosa”, una bianca appunto, a quanto pare molto innamorata, finì in prigione a causa sua, avendolo aiutato a rubare nelle abitazioni. Chissà cosa raccontò al marito.

Dapprima Malcom, genericamente arrabbiato per le sue disavventure legate al colore della pelle e alle disgrazie familiari, non coltivò l’impegno politico: la sua collera si rivolgeva essenzialmente alle donne della “razza” avversa. Come d’uso frequente allora, tra gli afroamericani, si stirava regolarmente i capelli con la lisciva, una terrificante sostanza, che non giovava certo alle chiome, ma permetteva di avvicinarsi ai canoni di bellezza accettati in società.

Inevitabilmente finì in carcere.

Mentre era dentro, si operò la sua trasformazione. Semianalfabeta, conscio della propria ignoranza, ricopiò un dizionario parola per parola. Lesse fino allo sfinimento, giorno e notte, danneggiandosi la vista anzitempo. Gli capitò tra le mani il Corano o qualche versione commentata e un bel giorno rifiutò la carne di maiale alla mensa. Uscì che era un altro uomo. Cioè, sempre lo stesso, ma con l’energia rivolta alle pratiche religiose e all’accrescimento dell’orgoglio razziale. Tutto il mondo doveva sapere chi erano davvero i devoti e ipocriti bianchi americani: si spacciavano per i salvatori del mondo, ma erano soltanto degli aguzzini stupratori.

Si avvicinò al movimento islamico americano, allora come ora sostanzialmente formato da persone di colore, a capo del quale era Elijah Mohammed, ovviamente un convertito.

Malcom si fece subito notare con invettive al mondo cristiano, complice dello schiavismo. Incoraggiava i “fratelli” a rinnegare le messe gospel (*1) e tutto il complesso di riti protestanti che faceva, dei neri, pagliacci per il divertimento dei bianchi.

Quanto ai “negri” * (definizione  da lui utilizzata a bella posta per scuoterli), quelli che si adeguavano alle richieste della società e svolgevano lavori “ normali”, spesso alle dipendenze di un padrone bianco, ne aveva il massimo disprezzo e per loro coniò il nomignolo di “zio Tom”, preso a prestito dal famoso personaggio. In uguale considerazione, pari a zero, teneva gli intellettuali neri che scodinzolavano alla corte dei padroni , secondo la sua visione.

Diceva di odiare i razzisti del KKK (2*) ma, ancor di più, quei bianchi del nord che si mostravano gentili e comprensivi e, in fondo, la pensavano come gli altri.

Tutto questo si sa anche grazie all’autobiografia, ricavata dalle interviste che lui concesse ad Alex Haley, l’autore di “Radici”.

Malcom, all'inizio, non nascondeva ostilità e diffidenza verso Haley che, per pubblicare il famoso libro sulla storia degli afroamericani, aveva comunque dovuto piegarsi all’integrazione con gli odiati “Whitey” (*3). In seguito diede fiducia allo scrittore, confidandogli le sue preoccupazioni. 

Continua...