La morte del generale Dalla Chiesa segnò l’inizio della legislazione antimafia italiana
L’uccisione del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa il 3 settembre 1982 segnò l’inizio di un impegno normativo inedito da parte dello Stato.
Per la prima volta dall’Unità d’Italia il codice penale sancì il delitto di associazione per delinquere di stampo mafioso (art. 416-bis) prevedendo persino la confisca dei beni mafiosi nel catalogo delle misure di prevenzione. Una svolta storica senza precedenti nella legislazione penale del Belpaese. Impalcatura normativa che regge ancora oggi dopo quarantadue anni.
Neanche l’assassinio di Pio La Torre, il 30 aprile 1982, riuscì a far approvare le nuove misure antimafia tanto auspicate per reprimere lo strapotere di Cosa Nostra siciliana. In dieci giorni dalla morte di Dalla Chiesa, il Parlamento terminò l’iter di quel disegno di legge.
Dovremo purtroppo attendere la strage di Capaci per avere una nuova risposta normativa da parte dello Stato. Da allora a oggi le mafie sono cambiate. Le strategie di lotta purtroppo sono ancora ferme a quegli anni.
Le “menti raffinatissime” hanno deciso che alle stragi e alla violenza bisognava sostituire la corruzione e alle azioni eclatanti, quelle sottotraccia. Di tutti questi delitti, che ricoprono un decennio (1982-1992), tra i più sanguinosi della storia d’Italia, non ancora abbiamo i veri mandanti ed è tuttora da comprendere fino in fondo quello che è successo nei rapporti tra mafia e pezzi di Stato deviati.
Vincenzo Musacchio, docente di strategie di lotta alla criminalità organizzata transnazionale, associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). Ricercatore indipendente e membro dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra.