Intervista a Pierfrancesco Mastroberti
Perché questo titolo?
Contiene l’ossessione del personaggio principale, il motore dell’intera vicenda, l’anelito a rimpossessarsi di ciò che gli è stato sottratto, o, di contro, lo sbocco di un’ambizione insoluta.
Chi è il personaggio o i personaggi principali del suo romanzo?
Attorno al Presidente, convinto di essere stato trapiantato da una forza oscura nel corpo e nella vita di un altro uomo – tale Giacomo Romano, addetto alle pulizie della sua compagnia informatica – si muovono pochi personaggi, che interagiscono con Giacomo, perché da sempre parte della sua vita – un dottore/confessore, una fidanzata, il fratello, la madre. È da subito evidente lo stridio tra la vita del Presidente e un’esistenza che lui avverte come estranea e dalla quale cerca una via di scampo.
Quali sono i principali temi della sua narrazione?
Alienazione individuale e collettiva. Il buio che si cela nel cuore degli uomini e infetta i rapporti umani. I misteri del quotidiano, spesso deformati dalla lente del surreale, e ribaltati dall’ironia.
A chi è rivolto questo romanzo? Quale è il suo pubblico ideale?
Ambisco a rivolgermi a un pubblico di lettori forti. Appassionati di letteratura. Lettori che non vogliono farsi consolare.
Quale è il messaggio racchiuso nella sua opera?
I romanzi racchiudono delle domande, alle quali solitamente l’autore non è grado di fornire una risposta.
Questo è il suo romanzo d’esordio? Se sì, cosa l’ha spinta a scrivere?
È il mio terzo romanzo pubblicato. Il primo con il mio nome. Poi ho pubblicato due racconti su due riviste. Scrivo con continuità da circa vent’anni. Ma il germe della scrittura è in me da sempre. Anche da piccino, scrivevo cose. Si nasce così, con le spire cerebrali predisposte alla scrittura. È una spinta ancestrale. Non si fa per una ragione.
Quali sono gli scrittori, artisti o intellettuali che hanno influito sulla sua poetica e hanno rappresentato per lei dei modelli?
Kafka. Fenoglio. John Fante. Dovlatov. Bernhard. I miei inarrivabili modelli sono loro. Per questione di igiene personale mi tocca rileggerli spesso.
Gli ultimi tre libri che ha letto?
“Il villaggio di Stepàncikovo e i suoi abitanti”, Dostoevskij. E due saggi: “The gloaming – I Radiohead e il crepuscolo del rock”, di Stefano Solventi, e “Nati per credere”, di Girotto-Pievani-Vallortigara.
C’è ancora spazio per la parola stampata in un mondo dove tutto è immagine?
Immagino che la parola sarà sempre più digitalizzata, ma non riesco a concepire un futuro senza libri. Il bisogno di raccontare e farsi raccontare storie è inscritto nei nostri geni. La parola dei grandi scrittori possiede una potenza eversiva irrinunciabile, non credo che l’umanità vorrà privarsene.
Ha già un’idea per il suo prossimo romanzo?
Non ancora, ma ho l’armadio pieno di inediti. Il prossimo ci sarebbe già.