Nella società delle immagini, il passaggio di testimone richiede una rappresentazione plastica. E così è stato alla convention democratica, dove Obama, alla fine del suo discorso, ha abbracciato colei che dovrebbe prendere il suo posto come un padre la sua bambina. Hillary è stata al gioco, abbandonandosi completamente nelle sue braccia.

Naturalmente, tutto questo fra l'entusiasmo collettivo della platea dell'Wells Fargo Center di Philadelphia, dove i delegati democratici hanno fatto presto a dimenticare i contrasti e le divisioni che li hanno lacerati appena l'altro ieri.

Barack Obama, consapevole di essere alla fine di una presidenza che ha deluso le tante aspettative di quanti lo avevano eletto, ci tiene, ad elencare alcuni dei risultati che è riuscito a raggiungere: una riduzione della disoccupazione, le unioni omossessuali, la battaglia per l'assistenza sanitaria, l'aumento della percentuale di energia ottenuta da fonti sostenibili e giustizia (che noi definiremmo sommaria) nei confronti di Osama bin Laden. Ha avuto il buon gusto di non elencare fra i suoi successi le migliaia di persone uccise grazie all'esponenziale aumento dell'impiego di droni.

Adesso è Trump a rappresentare la minaccia più grave per il paese. Se dovesse vincere le elezioni di novembre, distruggerebbe tutto quello che di buono è stato ottenuto dalla sua amministrazione. Di Obama il tycoon incarna l'esatto opposto, anzi meglio la caricatura del suo opposto. L'"io" di Trump, contro il "noi" di Obama, la polarizzazione e l'odio del primo contro la collaborazione e il marciare insieme del secondo.

Obama dipinge quella che nel 2008 è stata la sua acerrima rivale nelle primarie democratiche, come colei che saprà raccoglierne l'eredità politica e portare avanti il suo programma progressista, superando le divisioni che ancora esistono nel paese.

Sono i nostri valori, ha sostenuto Obama, ad aver fatto grande l'America, non le divisioni di razza, religione e partito. Chiunque tradisce questi valori, siano essi fascisti, comunisti, jihadisti o demagoghi fatti in casa (sappiamo a chi si riferiva), alla fine falliranno.

Accendo allo slogan della campagna di Trump, "Make America Great Again", Obama ha detto che l'America è già grande ed è già forte e la sua grandezza e la sua forza non dipendono da Donald Trump. Questi non ha mancato di replicare e lo ha fatto con un messaggio su Twitter: "Il nostro paese non sembra così grande ai milioni di persone che vivono in mezzo alla povertà, alla violenza e alla disperazione".

Ricevuta la consacrazione da parte dell'attuale presidente, Hillary Clinton avrà il duro compito di convincere della bontà del suo programma, fatto di lotta alle diseguaglianze, controllo delle armi e vigilanza su Wall Street, non solo tanti repubblicani, ma anche una buona fetta del suo partito, che oggi aveva messo, solo temporaneamente, da parte le divisioni per ritrovarsi insieme ad acclamare Obama.