Non riesco neppure ad immaginare cosa possa aver provato Matteo Salvini, martedì 13 agosto, davanti al tabellone del Senato che rendeva pubblico il voto espresso dai senatori.
Quella catasta di segnalini rossi, ad indicare che l’aula aveva respinta la richiesta, sua e dei suoi sodali di centrodestra, di convocare con urgenza il Senato per il giorno successivo, deve avergli fatto capire che con la mozione di sfiducia nei confronti del premier Conte aveva commessa una caxxata colossale.
Non c’è stato bisogno di attendere molto tempo per averne la conferma.
Da quel momento, infatti, lui, il Matteo padano, e la ciurma di barbari che lo circonda, si sono profusi in dichiarazioni concilianti, più o meno chiare ma sempre ipocrite, nel tentativo di recuperare i rapporti con Di Maio ed il M5S che, solo poche ore prima, avevano politicamente liquidati con un semplice “vaffa”.
Il ganassa (*) meneghino di fronte a quel tabellone del Senato si deve essere reso conto, in un batter d'occhio, che come uomo, e non solo come politico, stava subendo uno smacco insopportabile.
Innanzitutto percepiva che era nata una maggioranza che avrebbe beffato quel gran casino messo su solo per portare il Paese a nuove elezioni ed imporre, a mani basse, la sua egemonia come sembravano ipotizzare i sondaggi.
Che figuraccia! Eppure era così sicuro di se da essere corso subito a riabbracciare il suo mentore, Berlusconi, per ottenerne il plauso.
Ma in quel tabellone preponderavano i segnalini rossi, il che gli faceva anche presentire la possibile formazione di una maggioranza giallo-rossa per governare il Paese, tagliando fuori lui e la Lega dal nuovo possibile esecutivo, negandogli così ogni poltrona e posizione di potere.
Ora per uno che, come cinguetta in queste ore, non intende mollare la poltrona di ministro dell’interno deve essere una bella legnata.
Quel che è peggio, però, è che la sua fida musa legale, Giulia Bongiorno, gli deve aver fatto presente che quel tabellone dimostra con semplicità che lui non avrebbe più nessuna speranza di farsi scudo della immunità parlamentare qualora la magistratura chiedesse al Senato l’autorizzazione a procedere nei suoi confronti per il sequestro dei naufraghi della Open Arms, ad esempio, o per le risultanze delle indagini Moscopoli, Savoini, Siri, Arata.
Che guaio ! Da ministro dell’interno passerebbe ad essere sottoposto a processo!
Ecco perché, senza vergogna alcuna, il ganassa meneghino si sta umiliando nel blandire Di Maio ed il M5S affinché diano il loro benestare ad un nuovo governo giallo-verde, nel quale, come la storia di questi 14 mesi insegna, lui e la Lega potrebbero continuare a dettar legge.
La incredibile barzelletta di un Di Maio presidente del consiglio la dice lunga sulle angosce che attanagliano Salvini.
(*) Ganassa è un termine che, nel dialetto milanese, è sinonimo di bullo di paese, cialtrone, individuo noto per ostentare atteggiamenti fuori dalle regole e dagli schemi del vivere civile.