I numeri sono semplici e chiari e sui numeri non si discute
Segretaria confederale Cgil, Tania Scacchetti: «Per quanto riguarda la cifra dei 23 milioni di occupati, tanta sbandierata dall’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi come effetto del Jobs Act, va rilevato che al numero di occupati in più non corrisponde un aumento delle ore lavorate.
Come ha rimarcato una recente ricerca della Fondazione Di Vittorio in rapporto ai dati della Bce, a crescere è il lavoro povero, basso, dequalificato, con pochi diritti e scarso salario.
Insomma, i 23 milioni di posti di lavoro ottenuti non corrispondono ai 23 milioni raggiunti del 2008, perché nel frattempo le condizioni lavorative della maggior parte degli occupati sono talmente peggiorate che non permettono alla maggior parte delle persone una vita dignitosa e autonoma. Una sorta di part time involontario che non eguali in Europa.
In realtà, quello che emerge è proprio il fallimento del Jobs Act: finito il primo anno d’incentivi, le poche assunzioni registrate sono solo a tempo determinato e non con il contratto a tutele crescenti, la grande novità della riforma del mercato del lavoro.
Dunque, è la bocciatura della politica della decontribuzione per come è stata pensata. Non c’è un modello in grado di mettere il lavoro a tempo indeterminato come prima modalità di assunzione: anzi, al contrario, dal 2014 ad oggi quel tipo di contratti è diminuito e oltre il 75% delle nuove attivazioni è tutto lavoro precario.»
Coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA di Mestre, Paolo Zabeo: «Negli ultimi 8 anni (dal giugno 2009 al giugno 2017) abbiamo perso quasi 158.000 imprese attive tra botteghe artigiane e piccoli negozi di vicinato. Di queste, oltre 145.000 operavano nell’artigianato e poco più di 12.000 nel piccolo commercio. La CGIA stima che a seguito di queste chiusure abbiano perso il lavoro poco meno di 400.000 addetti.
La crisi, il calo dei consumi, le tasse, la burocrazia, la mancanza di credito e l’impennata del costo degli affitti sono le principali cause che hanno costretto molti piccoli imprenditori ad abbassare definitivamente la saracinesca della propria bottega.
Se, inoltre, teniamo conto che negli ultimi 15 anni le politiche commerciali della grande distribuzione si sono fatte sempre più mirate ed aggressive, per molti artigiani e piccoli negozianti non c’è stata via di scampo. L’unica soluzione è stata quella di gettare definitivamente la spugna.
La caduta, purtroppo, è continuata anche negli ultimi 12 mesi: tra il giugno di quest’anno e lo stesso mese del 2016 il numero delle imprese attive nell’artigianato e nel commercio al dettaglio è sceso di 25.604 unità.
Come spesso amano ripetere Matteo Renzi ed i ministri del governo che il suo partito supporta, "i numeri sono semplici e chiari e sui numeri non si discute". Evidentemente, il problema - per qualcuno - è come questi numeri si interpretano.