Parlare di autismo è difficile, anche soltanto per confrontarsi. Chi ha un figlio in tali condizioni e ci ha accordato qualche confidenza, ha descritto una discesa agli inferi che solo un amore sconfinato, unito a nervi saldi, può mettere in grado, se non di superare, almeno di affrontare.

Daniele Potenzoni è un trentenne di Pantigliate, provincia di Milano, sorretto da una struttura perché, ci racconta il padre, nell’adolescenza, in pieno sviluppo fisico e mentale, studente, sportivo, ragazzo “con la vita davanti”, precipitò nell’abisso della malattia, tra l’incredulità dei familiari, che probabilmente non hanno avuto tuttora, come molti genitori di autistici, una spiegazione a questo incidente della salute mentale, mai nominato fino a qualche decennio fa. Di fatto, papà Potenzoni ci ribadisce che il figlio ha un’età cognitiva di due anni.

Succede così che nel giugno 2015 si decida di portare in gita lui e altri giovani problematici, con il controllo di assistenti specializzati, nientemeno che a Roma, a vedere il Papa.

Per recarsi a San Pietro, il gruppo scende nella metro: l’ultima immagine di Daniele, presa da una telecamera, ce lo mostra mentre guarda il biglietto che tiene in mano (i familiari ci assicurano, però, che non legge, lo sguardo in genere vaga, senza consapevolezza).

A quel punto se ne perdono le tracce e scatteranno le ricerche, accurate: si arriverà a bloccare le corse sotterranee, pur di trovarlo, inutilmente.

Francesco, il disperato padre, non si da pace, gira per programmi, ovviamente fa attaccare volantini, oggi non ancora spariti, e si muove con la giustizia, ma non otterrà soddisfazione. L’infermiere Massimiliano, addetto alla cura di Daniele, è stato recentemente assolto, anche in appello, dall’accusa di abbandono di incapace, e si duole dell’accaduto.

Se lui è addolorato, Francesco Potenzoni è indignato, mentre noi siamo basiti.

Se davvero le condizioni psichiche di persone come il giovane sono arretrate a uno stato da prima infanzia, per quale ragione sottoporli a spostamenti faticosi, dopo tragitti non brevi, per vedere cose e persone di cui questi malati non capiscono nemmeno l’essenza e l’esistenza, per giunta trascinandoli tra i binari metropolitani e la folla della capitale, dove, in tempi normali,  è difficile muoversi con tutte le proprie capacità intellettive e motorie, strinati e sballottati?

Daniele non era piccolo, anzi fisicamente ben visibile, e non in condizioni di spostarsi autonomamente senza provocarsi un danno: dove mai potrebbe essere arrivato, tutto solo?

Fatevi qualche domanda.