Ben Freeman del del “Quincy Institute for Responsible Statecraft” ha esposto le connessioni fra industria della difesa, centri di analisi strategica (o think tank) e i mass media.
Secondo i dati analizzati da Freeman, gli accademici che promuovono l’invio di armi all’Ucraina sono citati dal mainstream circa 7 volte più spesso dei pensatori indipendenti. L’aggravante è che i primi sono quelli alimentati - in modo scoperto o meno - dai produttori di armi, i quali con tutta evidenza traggono profitto dai pacchetti di aiuti militari firmati da Biden.
Vi sono think tank che con grande trasparenza elencano sui propri siti i nomi dei finanziatori. Ve ne sono altri, invece, che tacciono l’identità dei loro generosi donatori, ma tutto fa pensare all’industria bellica. Nel momento in cui giornali autorevoli il New York Times o lo Wall Street Journal riferiscono le idee degli accademici pagati dai produttori di armi, influenzano l’opinione pubblica e la spingono nella direzione voluta. In questo modo, il processo decisionale politico è viziato in partenza.
Che sia un evidente cortocircuito fra soldi, accademia e stampa oppure una semplice coincidenza, poco cambia: Freeman ritiene che il Congresso debba obbligare i think tank a dire sempre chi sono i loro finanziatori.
Inoltre suggerisce ai mass media di mostrare rispetto ai propri lettori indicando loro i potenziali conflitti di interessi che gravano sulle fonti citate quando si tratta di politica estera americana. Altrimenti si configura un inganno che i media propinano a chi li segue credendoli seri e imparziali.