"Caso Diciotti": occorre una riforma della giustizia
L’iscrizione nel registro delle notizie di reato dei fatti di cui alla “Diciotti” ha assunto un rilievo di prim’ordine attesi l’attualità del fenomeno immigratorio e l’orientamento politico dell’attuale Governo in materia.
E, infatti, detta iscrizione, che vede come indagato il Ministro dell’Interno, seppure atto dovuto conseguente a denunce presentate, ha suscitato una serie di polemiche pro e contro, molte volte fuor di luogo e fuorvianti.
Ciò che maggiormente risalta è l’ipotesi dei reati commessi, e cioè il sequestro di persona, l’arresto illegale e l’abuso d’ufficio.
Ipotesi che, prima facie e sulla scorta di quanto è allo stato possibile sapere, appare veramente abnorme dal punto di vista giuridico; così come appare non comprensibile il perché della iscrizione nel RGNR presso la Procura di Agrigento e non presso la Procura di Catania, ove –sempre prima facie e sulla scorta di quanto è allo stato possibile sapere- appare la prima competenza in base al locus commissi delicti.
La tempestività della iscrizione e della individuazione degli autori dei presunti reati in una alla spettacolarizzazione dei primi atti di indagine ne ha amplificato gli effetti.
Tempestivo, altresì, il Ministro Salvini, che ne ha colto quelli positivi per la Lega, preannunciando la sua rinuncia alla immunità parlamentare e di ministro (rinuncia che, qualora fosse confermata, sarebbe del tutto irrilevante, ritenuto che, nella fattispecie, compete esclusivamente al Senato concedere o meno l’autorizzazione a procedere, volente o nolente il Salvini).
La ratio che sta alla base delle presenti meditazioni è che, così come è concepita l’iscrizione della notizia criminis, a prescindere dalle reali motivazioni di una Procura della Repubblica o di un’altra (e, da queste righe, non si intende avanzare critiche all’operato della Procura, non sussistendo gli elementi sufficienti per formulare una valutazione), l’iniziativa giudiziaria “dovuta” interferisce inevitabilmente con le –anche legittime- scelte politiche (siano esse condivisibili o meno) e con l’orientamento elettorale.
Appare, pertanto, urgente una riforma della Giustizia che riporti alla sua giusta portata l’iniziativa del P.M. Ma non solo.
Occorre una riforma organica, prevedendo, per esempio, anche una netta separazione delle carriere tra magistratura decidente e magistratura requirente, che assicuri al Magistrato giudicante una posizione di terzietà tra PM e indagato o imputato e che rassereni il cittadino.
E, in ultimo, sarebbe opportuna una rivisitazione della normativa sul Consiglio Superiore della Magistratura.
Avv. Nando Gambino