"Il disagio occupazionale e la disoccupazione sostanziale nel 2021 in Italia" è la ricerca di Giuliano Ferrucci e Nicolò Giangrande pubblicata il 9 settembre dalla Fondazione Di Vittorio, il cui presidente Fulvio Fammoni ha introdotto con il commento riportato di seguito.

La condizione del lavoro in Italia è legata sia a fattori numerici che di qualità. Il picco storico dell'occupazione in Italia si colloca attorno ai 23 milioni di occupati dipendenti e indipendenti (Istat, Luglio 2022). Da quella cifra non ci siamo mai scostati ed è stata peraltro raggiunta solo tre volte per almeno cinque mesi consecutivi (2008/2019/2022). Appare un limite difficilmente valicabile nelle attuali condizioni, anzi già si pronostica un nuovo calo legato alle difficoltà produttive che l'aumento inflattivo provoca.

Anche per questo, nel dibattito sui dati si insiste meno sul numero totale degli occupati e molto di più su un tasso di occupazione che però è prevalentemente determinato dal calo della popolazione in età da lavoro. Nell'ultimo mese disponibile (Istat luglio 2022) il tasso di occupazione italiano è arrivato al 60,3%, il massimo da sempre. Questo dato però continua ad essere di circa 10 punti inferiore rispetto alla media europea (oltre 15 con la Germania) ed è enfatizzato senza un reale motivo.

I circa 23 milioni di occupati attuali fanno infatti riferimento ad una popolazione in età da lavoro che è fortemente calata. Se li confrontiamo, come si faceva solo fino a pochi mesi fa, con il periodo prepandemico (febbraio 2020) scopriremmo che, rispetto ad allora, gli occupati sono cresciuti di +130 mila unità mentre la popolazione in età da lavoro (il denominatore) è calato di ben -637 mila unità.

Se la popolazione non fosse calata il tasso di occupazione oggi sarebbe del 59,3% (solo +0,3 p.p. rispetto a febbraio 2020) questa è la realtà di cui preoccuparsi, non solo perché l'occupazione cresce troppo poco ma perché il calo demografico è un segnale evidente del declino di un paese. Si tratta peraltro di un dato, quello del 2022, caratterizzato in modo preponderante dalla precarietà del lavoro.

Nel 2008 a fronte di 23 milioni di occupati erano circa 2,4 milioni i tempi determinati, oggi sempre con un numero simile di occupati, i precari sono 3,2 milioni. Lo slogan “occupazione precaria” non è dunque una forzatura ed è quanto mai calzante, sia per il record di lavoratori precari che è stato raggiunto che, come le serie storiche dimostrano, perché queste persone vengono utilizzate come “locomotiva” durante le fasi di crescita e come “carrozza del treno da sganciare” facilmente durante le fasi di difficoltà. È stato così con la crisi del 2009, del 2014, in modo enorme nel 2020 durante la pandemia. Un nuovo forte rischio è evidente in questa fase.

Ma esiste anche un enorme problema di non lavoro e di qualità del lavoro. I dati attualmente a disposizione fanno riferimento ad un PIL che ha già acquisito un +3,4% nel primo semestre del 2022.

Nonostante questa inusuale fase di crescita per il nostro paese, la disoccupazione sostanziale è più alta di quanto non appaia dai numeri del tasso di disoccupazione ufficiale. La FDV ha calcolato questa quota sia in percentuale che in numero assoluti. Ne fanno parte i disoccupati propriamente detti e una quota di inattivi, assimilabili a disoccupati, tutti con precedenti esperienze lavorative e immediatamente disponibili a lavorare, che non cercano attivamente lavoro (e per questo non inseriti nella disoccupazione) sulla base solo di specifiche e selezionate motivazioni, oltre che i soggetti assenti dal lavoro per un periodo previsto maggiore di tre mesi perché in CIG o per mancanza di lavoro/ridotta attività. 

Esistono anche altre stime su questo fenomeno, Istat produce quella del tasso di mancata partecipazione al lavoro che si attesta attorno al 19,3%; sempre Istat calcola la quantità di persone che si dichiarano disoccupate in oltre 5 milioni. La nostra è quindi una stima prudenziale ma molto realistica di 4,3 milioni di persone in disoccupazione sostanziale, che arriva ad una percentuale del circa il 16,0% a fronte di un tasso di disoccupazione ufficiale del 9,5%. Dato che renderebbe la situazione italiana omogenea e comparabile con gli altri paesi d'Europa.

Ma anche fra chi lavora, è in forte crescita un'area di disagio che - progressivamente - alimenta il bacino del lavoro povero, legata all'aumento al tempo determinato involontario ed ai conseguenti vuoti di attività; al part-time involontario, agli occupati sospesi, vale a dire gli assenti dal lavoro per un periodo pari o inferiore a tre mesi perché in CIG o per mancanza di lavoro/ridotta attività. In
quest'area attualmente sono ricomprese oltre 4,8 milioni di persone.

In sostanza, oltre 9 milioni di cittadini hanno problemi rilevanti con il lavoro, perché disoccupati, impediti da fattori oggettivi nella ricerca di lavoro o non soddisfatti della propria condizione lavorativa, che subiscono in modo involontario e che troppo spesso colloca queste persone nel bacino del lavoro povero. Un dato altissimo che testimonia come la situazione del lavoro in Italia sia molto difficile e in via di ulteriore deterioramento da cui partire sia per le proposte ma soprattutto per iniziative concrete volte a modificare questa negativa situazione attuale fatta di: troppa precarietà, troppo lavoro povero, troppe barriere per la ricerca di occupazione a chi vorrebbe lavorare.