Osservando la vita che ci circonda,  i  negozi, i bar, i ristoranti, le pubblicità, gli stessi passanti, vediamo un mondo felice, con belle macchine, belle signore, distinti signori, tutti ben vestiti  e in ottima forma. Vediamo  una specie di “mulino bianco”, una sorta di film che fonde e  confonde  la finzione con la realtà. Tutti appaiono soddisfatti, orgogliosi dei propri  traguardi, forti di una evidente autostima.

Indubbiamente, come dice il proverbio , non è tutto oro quello che luccica, certamente non mancano compromessi fra quello che si vuol fare apparire e quello che si è realmente, ma tutto sommato, per chi più e per chi meno, la sorte, nell’insieme, alla fine,  non si rivela poi così amara e cattiva. Questa è la condizione della maggioranza degli uomini ed è un po’ la norma della vita, con i suoi alti ed i suoi bassi, una vita che nel complesso non nega gioie , soddisfazioni, vuoi economiche , vuoi professionali, vuoi sentimentali.

Ma una vita, nel complesso buona, degna di essere vissuta non è accessibile a tutti, ci sono anche persone, per certi versi invisibili,  che non vivono ma sopravvivono, trascinandosi in una condizione esistenziale che li vede muoversi dentro  uno spazio senza colore, sotto il peso di una sorta di cielo cupo, greve , cinereo , che sovrasta sulle loro  sfortunate teste.

Queste povere esistenze , vivono nell’anonimato , circondati dall’indifferenza, sono vite che spesso,  si consumano  in modo drammatico e le loro storie ed i loro  drammi , con loro convivono e con loro finiscono. Il ricordo di queste tristi vite, delle loro storie infelici svanisce insieme a loro , non esistevano in vita e tantomeno esistono da morti. Queste riflessioni dell'autore del libro, sono anche il frutto di un condizionamento dettato da un certo filone cinematografico degli anni cinquanta. Quel genere di cinema degli anni cinquanta che viene ricordato come cinema neorealista, una tipologia di cinema che annovera  registi come De Sica, Lattuada, Germi ecc… e che ci racconta storie molto tristi , di persone sole, fragili e sfortunate.

Si pensi al film “Il Cappotto” di Lattuada, un film del 1952 interpretato da Renato Rascel, un film dove il protagonista è un povero impiegato con forti difficoltà economiche e per quanto cerchi di mantenere  un ruolo dignitoso, il suo abbigliamento è talmente misero che viene scambiato da una bella donna per un mendicante. Umiliato e ferito dall’episodio decide di farsi un cappotto, un cappotto bello, con il collo di pelliccia, e per farlo usa tutti i suoi risparmi di una vita e oltretutto si indebita. Il poveretto non potra’ sfoggiare per molto il suo nuovo costosissimo cappotto , tornando a casa una sera, verrà aggredito e malmenato da un malvivente che gli ruberà il cappotto. La disperazione del poveretto sarà tale che si trasformerà in una profonda depressione che lo porterà alla morte.

Non è molto diversa l’esistenza di Umberto D. di De Sica, dove D sta per Domenico, un povero pensionato che abita in una camera in affitto , con forti difficoltà economiche e non sempre in grado di pagarsi la pigione. Una persona sola, con l’unico affetto di un cagnolino, la sua misera pensione, non gli consente di trovare un alloggio migliore e deve quindi subire le angherie della padrona di casa.

Il poveretto, a causa della sua cagionevole salute verrà ricoverato  e tanta è la sua miseria  che cercherà  di allungare  il più possibile la sua degenza per risparmiare sulla pigione. Dimesso, non troverà più il suo alloggio ma solo il suo amato cane. Abbracciato al suo cane tenterà il suicidio sotto il treno. Dalla penna di Cesare Zavattini troviamo invece Antonio, un disoccupato che miracolosamente trova lavoro come attacchino comunale, deve però possedere una bicicletta e la sua è impegnata al Monte di Pietà per cui la moglie Maria è costretta a dare in pegno le lenzuola per riscattarla.

Proprio il primo giorno di lavoro,  mentre sulla scala è intento ad incollare un manifesto cinematografico, la bicicletta gli viene rubata sotto gli occhi. Disperato , si mette alla ricerca della sua bicicletta, ma capisce che non può fare più niente. La bicicletta, probabilmente ormai smembrata nelle sue parti, non esiste più. Stravolto dalla stanchezza, Antonio decide di tornare a casa quando  nota una bicicletta incustodita e, preso dalla disperazione, tenta maldestramente di rubarla, ma , davanti agli occhi di suo figlio, viene subito bloccato, insultato e percosso  dai passanti. Ecco, queste tristezze ma nel contempo queste istantanee sul mistero della vita, portano anche a delle riflessioni , ovvero che le persone sfortunate esistono, sono in mezzo a noi e forse qualcuna la conosciamo, leggere le loro storie quindi potrebbero indurci non solo ad un banale sentimento di commiserazione ma stimolarci a dar loro una mano.  (Licia Lucidi)

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