In Spagna Podemos e socialisti hanno trovato un accordo per la legge di bilancio 2019. Una delle principali misure contenute nella manovra è l'aumento del salario minimo mensile che passa da 735,90 a 900 euro, con una crescita di ben oltre il 20%.

Il salario minimo esiste in tutti o quasi i Paesi europei, ma non in Italia. In Spagna è fissato dal governo ogni anno, sulla base del valore medio relativo all'indice dei prezzi e a quello della produttività del sistema e del lavoro.

In tal modo, qualsiasi contratto di lavoro di qualsiasi settore produttivo deve garantire un minimo salariale che non sia inferiore al tetto fissato. Inoltre, la sua indicazione influisce anche su quella che deve essere la base contributiva minima. Pertanto, aumentando le entrate a favore della sicurezza sociale, si favorisce anche la tenuta del sistema pubblico previdenziale.

Quale sarà in Spagna l'impatto di questo aumento sulle aziende, su cui ricadrà gran parte del peso della decisione del governo? Già alcuni parlano di aumento della disoccupazione, dimenticando però che è la domanda e l'andamento del ciclo economico a determinare il numero di assunzioni e licenziamenti e in questo momento in Spagna è sicuramente positivo.


Il salario minimo è uno strumento per la redistribuzione della ricchezza che si genera in un Paese, garantendone lo sviluppo in modo armonico.

In Italia, nei dibattiti che si possono seguire in tv, quando vi sono degli esponenti del Pd, costoro citano come nota di merito il numero di posti di lavoro che avrebbe "generato" il Jobs Act. Ammesso che ciò sia vero, il problema è che in Italia, e lo dicono i dati dell'Istat, cresce il numero di coloro che versano nella cosiddetta "povertà relativa", persone che hanno un lavoro, ma il cui reddito non è sufficiente a soddisfare tutti i bisogni.

Pertanto, come rivelato anche in un servizio della trasmissione Carta Bianca su Rai 3, andato in onda martedì 23 ottobre, persone che lavorano non sono però in grado di pagarsi un affitto e vivono in case occupate abusivamente.

Il salario minimo non è al momento tra le priorità dell'attuale Governo - seppur previsto nel programma grillino - che invece ha puntato le proprie carte sul "reddito di cittadinanza", un assegno integrativo che ha un tetto massimo di 780 euro e rigide modalità di spesa, per aiutare le persone mentre sono alla ricerca di un nuovo lavoro.

Questa misura, però, sembrerebbe non essere sufficiente a superare la crisi di molte famiglie e la ripresa dei consumi in Italia. Infatti, i lavori disponibili nel nostro Paese sono prevalentemente a tempo determinato e scarsamente retribuiti. Quindi, per paradosso, il reddito di cittadinanza, potrebbe finire per diminuire il numero di coloro che sono in povertà assoluta e aumentare quello di coloro che sono in povertà relativa.

Sicuramente è un passo avanti per il Paese, ma non la soluzione per il rilancio dei consumi interni e l'incremento del benessere dei cittadini.

Quanto sopra riassunto serve, semmai ce ne fosse stato bisogno, come esempio per capire che il provvedimento cavallo di battaglia del M5S corre il rischio di essere inefficace, perché non pensato all'interno di un sistema che riveda in maniera organica e radicale contratti di lavoro e welfare.