Già decenni fa, Pier Paolo Pasolini, con la sua penetrazione acuta nei meccanismi sociali e culturali, osservava una trasformazione profonda del linguaggio verbale. In un periodo di grande confusione sociale e culturale, le parole, che un tempo erano portatrici di emozioni e pensieri complessi, si stavano svuotando di contenuti, diventando sempre più sterili e convenzionali. "Il linguaggio verbale si sta svuotando", scriveva Pasolini, "e diventa sempre più sterile e convenzionale". Un monito che oggi risuona più che mai, quando le parole sembrano non riuscire più a esprimere la verità che ci portiamo dentro, e il linguaggio del comportamento diventa il protagonista della comunicazione. Il linguaggio verbale, oggi più che mai, si è trasformato in un insieme di formule vuote e ripetitive. Le parole, ormai ridotte a slogan brevi e immediati, a hashtag che cercano più visibilità che sostanza, perdono la capacità di stimolare la riflessione critica e di approfondire i temi rilevanti della nostra esistenza. Il loro scopo, oggi, sembra più quello di raccogliere consensi immediati che quello di veicolare pensieri profondi. In un contesto come questo, in cui le parole non hanno più il peso che una volta avevano, è il comportamento che prende il sopravvento. Non solo il comportamento individuale, ma soprattutto quello che si manifesta nei social media, dove ogni azione è pensata e calibrata per suscitare approvazione, per raccogliere il "like" che rappresenta l’approvazione sociale.
Ecco la contraddizione della nostra società contemporanea: se una volta le parole avevano il potere di esprimere verità, oggi sono il comportamento e le azioni a diventare il linguaggio che ci definisce. Un linguaggio che è, nella sua essenza, costruito sulla ricerca incessante del consenso e della visibilità. Il "like" è la nuova moneta di scambio, la dimostrazione che siamo "visti" e riconosciuti. La nostra immagine è ormai una costruzione costante, una vetrina pubblica che ci rappresenta e ci definisce. La ricerca dell'approvazione diventa una strategia di sopravvivenza, un gioco che si gioca non tra le persone, ma tra la nostra immagine e le reazioni degli altri.
La differenza, però, rispetto a ciò che Pasolini osservava nella sua epoca, è che oggi i social media amplificano questa dinamica in modo esponenziale. La comunicazione, che prima aveva confini più ristretti e si manifestava in ambiti più circoscritti, è ora globale, universale, ed è entrata in ogni aspetto della nostra vita quotidiana. I social media, attraverso la loro struttura, ci spingono a rappresentarci come una versione “socialmente accettabile” di noi stessi, piuttosto che come esseri autentici e complessi. Non più persone, ma profili virtuali, ombre perfette di ciò che vorremmo essere, ma che, molto spesso, non siamo. In questo marasma di superficialità, l’autenticità sembra svanire.
Tuttavia, non tutto è perduto. Nonostante il bombardamento incessante di contenuti che premiano l’apparenza e la quantità, esistono ancora relazioni autentiche. L'amore, la tristezza, la gioia, la speranza: questi sentimenti continuano a essere le forze che ci legano gli uni agli altri. Sebbene spesso queste emozioni siano spazzate via dall'effimera luce dei social, le relazioni più profonde si costruiscono nel mondo fisico, dove le risate, gli abbracci, le discussioni e le esperienze condivise sono il fondamento della vera connessione umana. In un'epoca che ci spinge a consumare velocemente, a cercare la gratificazione immediata, esiste ancora chi trova il tempo per riflettere, per cercare il significato profondo della vita. La ricerca di un equilibrio interiore e la consapevolezza di sé sono aspetti che, purtroppo, vengono messi spesso in secondo piano in una società sempre più digitale e consumistica, ma che rimangono un’ancora di salvezza per chi sceglie di fermarsi e riflettere. L'autenticità non si misura con i "like", ma con la nostra capacità di essere fedeli a noi stessi, di accettare le nostre imperfezioni e di cercare, giorno dopo giorno, il vero senso della vita. Il coraggio di mostrare le proprie vulnerabilità, di affrontare le proprie difficoltà senza ricorrere alla maschera del perfetto profilo sociale, è oggi uno degli atti più autentici che possiamo fare. In un mondo che premia l'apparenza e l'autocelebrazione, l'autenticità è un atto di ribellione.
Forse, in fondo, ciò che ci resta di veramente autentico è proprio questo: la nostra capacità di sentire, di connetterci, di crescere e di vivere in consapevolezza, lontani dalla superficialità del consumo sociale.
Ciò che Pasolini temeva, nel suo tempo, sembra essere diventato la realtà del nostro presente. La comunicazione è divenuta sempre più superficiale, il linguaggio ha perso la sua forza e la verità è diventata un concetto sfuggente. Ma forse la risposta a questa crisi non sta solo nel recupero delle parole, ma nella riscoperta di noi stessi, nella consapevolezza che il vero linguaggio – quello che davvero conta – è quello che non si trova nelle parole vuote o nei "like", ma nelle nostre azioni quotidiane, nelle scelte che facciamo e nei legami che costruiamo, lontano dallo schermo e dal giudizio altrui.