È difficile condensare nel titolo l’anima di un libro. Difficile, ma non impossibile, come ha dimostrato Manuela Minelli con la sua raccolta di racconti intitolata suo Femmine che mai vorreste come amiche [La vita Felice, 2014].
Già dalla lettura di queste sei parole, il lettore inizia a pensare, catalizzato, sul perché mai non le si vorrebbero come amiche e, soprattutto, sul perché del termine “femmine”, anziché “donne”. La risposta arriva ad aggredirci dopo aver letto i primi racconti: nessuno vuole seccature, nessuno vuole caricarsi dei problemi altrui se non tramite un semplice: “Io ci sono, eh”. Ma poi, di fatto, non c’è.