La Brexit, finora, è definibile come l'esito di un referendum in cui i cittadini della Gran Bretagna hanno deciso di uscire dall'Europa, non come identità geografica, problema che avrebbe avuto aspetti alquanto più complessi da risolvere, ma come identità politica.

In fin dei conti, la Gran Bretagna era in Europa poco più che a livello nominale, prendendone soprattutto i vantaggi e dando in cambio agli altri paesi dell'Unione poco o nulla. Il fatto di non esser riuscita a consentire solo la libera circolazione delle merci all'interno dei propri confini, impedendo quella delle persone, ha fatto sì che molti britannici abbiano votato per uscirne. Infatti, chi ha perso il lavoro ha ritenuto che la colpa fosse da attribuire, ad esempio, ai polacchi disposti a lavorare a costi inferiori rispetto ai britannici.
Ad oggi, però, la Gran Bretagna non ha ancora presentato all'UE alcuna richiesta ufficiale per comunicare la propria intenzione di non far più parte dell'Unione. Quindi, rispetto al passato, non è cambiato nulla.

Eppure, nonostante questo, si parla di effetto Brexit. L'Italia, rispetto ad altri paesi europei, solo in minima parte potrà risentire commercialmente di eventuali modifiche nelle relazioni tra i due paesi. Però, nonostante questo e nonostante la Gran Bretagna sia ancora nell'UE, si parla di effetto Brexit... addirittura anche sulle banche italiane!
Per tale motivo, da molti giorni è iniziata da parte del Governo una manovra per ridefinire con l'Europa delle modalità che consentano al Governo di intervenire a supporto degli istituti di credito senza infrangere le regole UE che non prevedono, almeno in questo settore, degli aiuti di Stato.

Nonostante le dichiarazioni del presidente del Consiglio e del ministro delle Finanze, la realtà sembra descrivere uno scenario diverso. Il Governo, prendendo a pretesto la Brexit, ha deciso di intervenire a supporto dei crediti deteriorati delle banche italiane che, a detta di molti se non di tutti gli economisti, costituiscono una zavorra per una ripresa dei prestiti ad aziende ed utenti retail oltre ad un problema di criticità per la sopravvivenza stessa di alcuni istituti.

Pertanto, Renzi e Padoan, sventolando lo spauracchio della Brexit, stanno premendo sugli organi di controllo dell'UE perché lo Stato italiano possa garantire direttamente, o quasi, la cartolarizzazione dei crediti inesigibili delle banche, liberandole così da problemi che possano condizionarne anche la loro stessa esistenza, come parrebbe per il Monte dei Paschi di Siena.
All'origine di tanto attivismo, se si esclude la Brexit, la logica suggerisce il fatto che a fine luglio verranno pubblicati i risultati dello stress test per i quali BCE ed EBA hanno ricevuto gli ultimi dati a metà del giugno scorso. Gli stress test di EBA e BCE riguardano 53 banche a livello europeo. Tra queste, cinque sono italiane: Unicredit, Intesa Sanpaolo, Banca Monte dei Paschi di Siena, Banco Popolare e Ubi.

Sulla base del protocollo stabilito, le Authority di controllo sono ormai già in possesso dei dati per le loro valutazioni. I dati saranno confrontati con i parametri UE e con quelli dei mercati interni. Successivamente, BCE ed EBA informeranno le singole banche sui risultati e, a loro volta, le banche potranno rispondere con le loro contro deduzioni. Quindi, i risultati dei test saranno inviati in anteprima ai board dei vari istituti e poi resi pubblici. E questo dovrebbe presumibilmente avvenire alla fine del corrente mese.
Sulla base di queste semplici osservazioni, c'è da chiedersi se la situazione delle principali banche italiane sia realmente così solida come ci viene da tempo assicurato. Forse c'è qualcosa che ancora non sappiamo?