“Sono passati molti mesi pieni di lavoro e quello che si usa chiamare LA VITA, spinto qua e là alla ventura a cui il mio mestiere di postino mi ha destinato…”
Ho voluto parafrasare l’inizio del famoso romanzo di Carlo Levi “Cristo si è fermato a Eboli” per descrivere la mia prima destinazione da dipendente di Poste italiane, San Tizio appunto (nome di pura fantasia...), al quale fui assegnato per recapitare la posta.
In principio la preoccupazione e l’inquietudine dell’incarico me lo fecero apparire come un luogo dimenticato da Dio, immobile e abbandonato a sé stesso, austero, desolatamente isolato dall’attualità e dalla modernità, rassegnato all’inclemente succedersi delle stagioni, unico segno tangibile dello scorrere del tempo.
Non nascondo un primo istintivo personale timore di inconciliabilità tra le mie necessità lavorative e le possibili oggettive difficoltà che quel paese avrebbe potuto crearmi, fino a percepire una sorta di generica ostilità reciproca.
Ma il lavoro è lavoro, e l’urgenza di prendere confidenza con la “zona” mi ha costretto a calarmi repentinamente in quella sfavorevole realtà.
I primi giorni hanno confermato tutti i miei timori preventivi: toponomastica approssimativa, vaga e generica, talvolta multipla; numerazione imprecisa, incompleta e discontinua, talvolta inesistente; nomi e cognomi su cassette e campanelli (quando reperibili…) dubbi e confusi; proprietà indefinite e incerte; animali di ogni razza/taglia allo stato brado (foto), e a completare lo scenario l’assoluta mancanza di “campo” per il cellulare, anche se lo stesso Google Maps poco avrebbe potuto…
Così, quando ero ormai prossimo ad arrendermi all’evidente inespugnabilità di quel territorio e dei suoi abitanti, come spesso accade ad ogni buon postino, l’inerzia ha iniziato lentamente a mutare, permettendomi di prendere gradualmente confidenza con quello che oggi potrei definire come un vero e proprio ecosistema…
Con il tempo ho imparato ad apprezzare il quadro che era all’interno della cornice, ed improvvisamente quel paese e i suoi abitanti mi sono apparsi non più immobili ed immutabili, ma più semplicemente lenti e pazienti, ancorati a spazi e territori limitati e circoscritti ma non recintati, un ambiente non più desolato ma appartato, non isolato ma solitario, non ostile o refrattario al progresso ma solo inconsciamente insofferente alle sue forme più viziose, e dove le stagioni scorrono inesorabili ma non severe; lì non c’è il MegaStore con decine di corsie ma lo Spaccio con due scaffali, non ci sono tangenziali ma sentieri, e possono passare anche decine di minuti senza che nessun mezzo attraversi le curve dell’unica strada asfaltata che attraversa San Tizio, per la gioia di Gaetano, un grande cane che ciondola oziosamente tra un lato e l’altro della strada e che si rifocilla al Bar di Sopra, che a differenza del Bar di Sotto, si trova nella parte alta del Paese; lì il pullman di linea si chiama ancora Corriera (foto), i cartelli stradali sono personalizzati e personalizzabili (foto), e laddove mancano si improvvisano guardrail con semplici tavole di legno e nastro colorato (foto); a San Tizio ci sono ancora il matto e il tirchio, quello che si è arricchito e quello che ha perso tutto, ma se c’è un funerale partecipa l’intero Paese; lì la Pro loco utilizza i locali della parrocchia, il 110 è soltanto un valore della pressione arteriosa e i soldi non si investono ma si mettono da parte; a San Tizio ancora si riparano TV e scarpe, e l’asciugatrice è realizzata con due pali e un filo sfruttando la forza termodinamica del calore del sole (foto); i pochi latitanti giovani ordinano pacchi che poi saranno presi in custodia da bisnonni, nonni o parenti, o dalla signora dello Spaccio, e ad ogni angolo c’è una ciotola di croccantini per i gatti dei dintorni; non ci sono MiniCar ma ApeCar (foto), non si litiga per il posto auto, e molti stranieri hanno scelto questi boschi per abbandonare qualche precedente frenetica vita; a San Tizio la gente esce in pigiama a firmare una raccomandata o a riempire una carriola di legna per il camino o la stufa, unico modo per scaldarsi, perché lì il metano non arriva …; non ci sono parcheggi multipiano ma piazzole sterrate, non ci sono ripetitori ma alberi secolari, e dopo ogni temporale spunta l’arcobaleno…
Dopo tre mesi ho cambiato sede, ma da allora la domanda è sempre la stessa: Cristo si è fermato a San Tizio perché lì si fermavano la civiltà e il progresso, o più banalmente perché lì si stava da Dio?