Per continuare il discorso sulle cause che hanno determinato e ancora provocano molte sciagure all’umanità, occorre approfondire i contenuti di uno dei principali movimenti di pensiero che ha avuto il suo più intenso periodo di incubazione tra il settecento e l’ottocento per produrre effetti devastanti nello scorso secolo e continuerà a farlo anche nel futuro perché si è ben radicato nelle culture dei Paesi di tutto il mondo ed è il principale avversario della democrazia. In realtà è sempre stato presente e ha agito indisturbatamente per secoli, il totalitarismo ebbe la sua manifestazione più significativa nel Medio Evo dando vita ad una divisione tra aristocrazia e proprietari terrieri e la restante parte della popolazione ridotta a “servi della gleba”: tale situazione si è trascinata in Italia fino alla fine del secondo conflitto mondiale.
Il ‘900 è stato un secolo tragico segnato da due guerre consumate sul territorio europeo, caratterizzate da una crudeltà mai vista prima. Sono state due tragedie che hanno coinvolto milioni di persone: vite spezzate a causa di assurdi calcoli di profitto; sperimentazioni di modelli politici su popoli usati come cavie com’è stato il comunismo in Russia; reazione del vinto per le condizioni insostenibili imposte dai vincitori.
Quanto sta accadendo attualmente dimostra che la tesi nichilista (attiva e passiva) di Nietzsche costituisce la base culturale del potere politico-economico che domina su collettività rese passive e compiacenti con ricatti e corruzione.
In questo contesto emerge il modello antropologico-filosofico di Nietzsche.
Nietzsche è convinto che l’uomo disponga di un'unica vita terrena, puramente corporea per questo deve lasciarsi guidare dai propri istinti che hanno il potere di strappare il velo dell'apparenza che cela la volontà che domina l'individuo. Il superuomo abbandona le ipocrisie moraliste per affermare sé stesso vivendo alla luce dei suoi propri valori.
Egli viene presentato come il grado più alto dell'evoluzione, divenendo colui che esercita il diritto sugli altri dettatogli dalla sua forza e dalla sua superiorità. Questo diritto gli si presenta tuttavia anche come dovere di contrapporsi all'ipocrisia della massa e va contro la stessa tradizionale etica del dovere. Il superuomo contrappone al "Tu devi!" kantiano il nietzschiano "Io voglio!" trasformando l’esperienza umana in un fine e non in una esperienza per raccogliere conoscenze per arrivare prima alla redenzione e al fine ultimo in cui la terra e la parte umana vengono spiritualizzate attraverso un processo evolutivo di raffinazione.
Nel modello filosofico del superuomo è essenziale la volontà che va vista come movente della sua stessa storia. Essa si presenta nella creazione della natura così come nelle strutture sociali, e va continuamente superata.
Nella sua opera “Così parlò Zarathustra” il profeta rappresenta colui che rende l'uomo consapevole di essere solo un ponte verso una sua più completa e "umana" affermazione, nella quale si serve di un supplemento di coscienza e di spirito per adempiere al soddisfacimento della propria esistenza. Emerge un vuoto e agghiacciante modello amorale, scevro da ogni vincolo e dovere; l’esistenza è un costante atto di volontà proiettato in un eterno momento che si ripete e che cessa con la morte fisica.
L’uomo nuovo però resta in bilico "sulla corda tesa sopra l'abisso", per una metà a rappresentare quel superuomo al di là dell'ominide e per l'altra metà a rappresentare il precursore e generatore del sé superiore.
La caratteristica principale dell'oltreuomo (o superuomo) è proprio la piena accettazione che la vita non ha senso logico, è ripetitiva e affidata alla casualità, ma nonostante ciò egli la desidera in qualunque aspetto si presenti.
Per meglio illustrare il concetto utilizza il simbolo del serpente che si morde la coda, un simbolo egizio adottato dagli alchimisti per rappresentare la ciclicità del tempo, il susseguirsi delle stagioni, l'eterno ritorno. È in opposizione al tempo lineale rappresentato dalla freccia. Forse, nel caso specifico, il cane che si morde la coda rimane il riferimento più appropriato. Questo accade quando manca l’umiltà e la capacità critica per affrontare con gli scarsi mezzi intellettuali e spirituali a disposizione il tema dell’eternità.
Nietzsche ha trascorso tutta la sua esistenza affacciato in quell’abisso e questo lo ha portato alla follia e alla irreversibile distruzione di parte del suo “IO” che rappresenta l’elemento essenziale ed eterno dell’uomo futuro.
Il processo di Norimberga costituisce a mio avviso l’anello che congiunge due fasi evolutive di uno stesso elemento: il male.
Il nazismo e il fascismo sono due termini che indicano sostanzialmente una stessa realtà che ha assorbito molto della dottrina di Nietzsche: è la celebrazione dell’egoismo umano senza limiti (nichilisti attivi), che si autodetermina con propri valori che impone agli ominidi (nichilisti passivi) con il risultato di sterminare milioni di esseri umani scelti non certo a caso.
La sentenza del processo di Norimberga segna un punto di svolta sia sul piano morale che giuridico infatti si sollevò il problema che gli imputati non avessero violato alcuna legge già in vigore durante il regime per questo non erano responsabili degli eventi criminosi. Un principio riconosciuto da tutti gli ordinamenti consiste nella mancanza di retroattività della legge penale.
Fin quando non vi è una legge che stabilisca la rilevanza penale di un comportamento non vi è reato: le leggi raziali in vigore rendevano perfettamente legale sterminare degli esseri umani per la loro appartenenza ad una razza non gradita, o per disturbi mentali o per omosessualità, o perché nomade, o perché comunista o per qualsiasi altra ragione contemplata.
A Norimberga la difesa portò all’attenzione dei giudici il fatto che l’aver ubbidito alle leggi in vigore sollevava i loro assistiti da ogni responsabilità: lo Stato emana leggi ed è una realtà operante e legittima fin quando i suoi cittadini ubbidiscono alle norme in vigore.
I giudici condannarono gli imputati motivando che tutti gli ordinamenti giuridici hanno a fondamento la legge morale dei dieci comandamenti: quando una o più leggi di uno stato entrano in conflitto con le norme morali nessuno cittadino deve obbedienza ad esse. Tale disposto sembrerebbe colpire il principio della non retroattività della legge penale invece, a mio avviso, va oltre, e lo fa a buon ragione.
Una legge emanata che non rispetti la vita e la dignità di ogni essere umano non può aver alcun valore giuridico; la coscienza personale deve entrare nel merito del contenuto e delle finalità dell’atto giuridico in vigore, per questo chi vi si attiene ha delle responsabilità. La partecipazione alle politiche raziali rese tutti colpevoli, chi direttamente e chi indirettamente a secondo del ruolo. Arrivavano vagoni ferroviari che giacevano per giorni sui binari morti delle stazioni: nessuno ha mai sentito le grida che provenivano dal loro interno questo è l’alibi dei “nichilisti passivi”.
Ho sempre pensato che chi commette delle atrocità simili o è pazzo e va rinchiuso o non lo è allora è pienamente responsabile e merita il massimo della pena. A Norimberga i giudici considerarono anche questo aspetto ma leggendo la critica che fece Hanna Arendt alla sentenza di condanna a morte di Eichmann, un gerarca nazista processato in Israele nel 1961, ho capito cosa volesse intendere con la definizione “la banalità del male”.
Con la sua analisi critica l’autrice porta in luce un aspetto estremamente inquietante e molto diffuso nell’umanità e, in qualche modo, conferma e completa il modello del “nichilista passivo” di Nietzsche.
Secondo il suo pensiero: “(…) per un essere umano è male l'essere un inconsapevole volontario, il braccio intenzionalmente inconsapevole di qualcun altro, ed è qualcosa di estremamente comune e banale, che il potere può organizzare e utilizzare in moltissime maniere.”
Considera le azioni di Eichmann il risultato di una totale mancanza di pensiero critico e di un'obbedienza cieca all'autorità, piuttosto che di una malvagità intrinseca.
La Arendt fu molto criticata per aver affermato che le motivazioni della sentenza erano errate e riduttive perché Eichmann fu condannato in base al diritto di Israele senza accertare le sue responsabilità che erano più ampie. Eichmann si era reso responsabile di crimini contro gli ebrei, però così facendo: “Aveva attentato all'umanità stessa, cioè alla sua base, il diritto di chiunque a esistere ed essere diverso dall'altro. Uccidendo delle persone per motivi razziali si negava la possibilità di esistere all'umanità stessa, che è tale solo perché espressione di diversità.”
La Arendt affermò che il nazista fu condannato utilizzando l’anacronistica “legge del taglione” secondo la quale “(…) una comunità offesa ha il dovere di punire il criminale" tramite una "rappresaglia". “Poiché egli era stato implicato e aveva avuto un ruolo centrale in un'impresa il cui scopo dichiarato era cancellare per sempre certe 'razze' dalla faccia della terra, per questa doveva esse eliminato.”
Riferendosi alle motivazioni della sentenza la Arendt avrebbe concluso diversamente, come ad esempio: “E come tu hai appoggiato e messo in pratica una politica il cui senso era di non coabitare su questo pianeta con il popolo ebraico e con varie altre razze (quasi che tu e i tuoi superiori aveste il diritto di stabilire chi deve e chi non deve abitare la terra), noi riteniamo che nessuno, cioè nessun essere umano, desideri coabitare con te. Per questo, e solo per questo, tu devi essere impiccato.”
Il totalitarismo allontana l’uomo dalla vita reale e dalle responsabilità implicite, trasformandolo in un ingranaggio di una macchina.
“Quel che diceva Eichmann e il modo in cui lo diceva, non faceva altro che tracciare il quadro di una persona che avrebbe potuto essere chiunque: chiunque poteva essere Eichmann, sarebbe bastato essere senza idee, come lui. Prima ancora che poco intelligente, egli non aveva idee e non si rendeva conto di quel che stava facendo. Era semplicemente una persona completamente calata nella realtà che aveva davanti: lavorare, cercare una promozione, riordinare numeri sulle statistiche, ecc. Più che l'intelligenza gli mancava la capacità di immaginare cosa stesse facendo. "Non era stupido: era semplicemente senza idee (una cosa molto diversa dalla stupidità), e tale mancanza di idee ne faceva un individuo predisposto a divenire uno dei più grandi criminali di quel periodo".
Se Eichmann fosse stato un pazzo la cosa sarebbe rientrata come una tempesta in un bicchiere: sarebbe stato meno temibile un mostro inumano, perché proprio in quanto tale rendeva difficile identificarvisi. Purtroppo oggi assistiamo a dei processi di identificazione, ammirazione ed emulazione che ci dovrebbe minimo far riflettere.
Se si considera con attenzione la lettura critica di quei tragici eventi elaborata dalla Arendt si comprende che l’autrice analizza la genesi del male e non molto altrettanto approfonditamente le sue manifestazioni: il regime totalitario è una sfaccettatura di un fenomeno ben più complesso che risiede nel profondo della natura umana.
Quel processo fu una preziosa occasione per riflettere sulla natura umana e i suoi comportamenti nel presente.