Nel periodo gennaio‑marzo 2025 i numeri confermano la realtà che la propaganda di regime cercava di nascondere: la finanza pubblica continua a peggiorare, le famiglie per il momento possono non lamentarsi molto, mentre le imprese non finanziarie si destreggiano nel difendere i loro margini.
Finanza pubblica: si allarga il disavanzo nei conti
- Indebitamento netto delle Amministrazioni pubbliche a –8,5 % del PIL (–8,2 % un anno fa).
- Saldo primario a –4,7 % del PIL, leggero recupero rispetto al –4,8 % del 1° trim 2024, ma resta profondamente in territorio negativo.
- Saldo corrente a –3,5 % del PIL, in lieve peggioramento su base annua (–3,4 %).
- Pressione fiscale al 37,3 %, +0,5 punti percentuali: l'Erario incassa un po' di più, ma non abbastanza da arginare l'espansione della spesa.
In sintesi: lo Stato continua a spendere più velocemente di quanto crescano le entrate. Il miglioramento del saldo primario è troppo modesto per cambiare la traiettoria del debito.
Famiglie: potere d'acquisto in recupero, risparmio in rialzo
- Reddito disponibile nominale +1,8 % sul trimestre precedente.
- Consumi +1,2 %: la crescita del reddito non si trasferisce integralmente alla spesa.
- Propensione al risparmio al 9,3 %, +0,6 punti: le famiglie mettono via più soldi, segno di prudenza.
- Potere d'acquisto reale +0,9 %, compensando l'aumento dei prezzi (+0,9 % il deflatore).
Il messaggio: dopo la frenata di fine 2024, il reddito reale torna a salire e il cuscinetto di risparmio si ispessisce. Non è un boom dei consumi, ma una timida ricostituzione della capacità di spesa. Non va però dimenticato che i dati statistici vanno interpretati pensando ai famosi polli di Trilussa: la media non tiene conto delle disparità sempre più presenti tra le famiglie italiane come dimostrano gli ultimi dati, ad esempio, della Caritas.
Società non finanziarie: margini ancora sotto pressione, investimenti in lieve ripresa
- Quota di profitto al 42,1 %, –0,2 punti; ottavo calo consecutivo: i costi restano appiccicosi, i ricavi non tengono il passo.
- Tasso di investimento al 22,4 %, +0,2 punti: qualche segnale di fiducia, ma a margini compressi.
Traduzione: le imprese investono un po' di più, probabilmente per non perdere terreno in competitività, ma lo fanno rosicchiando ulteriormente i profitti. Se la redditività non si stabilizza, la propensione a investire rischia di incrinarsi di nuovo.
La deriva del disavanzo nei conti pubblici non si arresta; senza un freno alla spesa corrente, la dinamica del debito resta preoccupante. Come Meloni possa affermare di voler aumentare fino al 5% la spesa militare mantenendo intatti i servizi in una situazione del genere è francamente incomprensibile.
Le famiglie: guadagnano potere d'acquisto, ma tengono il portafoglio semi‑chiuso; la propensione al risparmio sopra il 9 % segnala cautela, non certo euforia.
Le imprese investono ma hanno il fiato corto, quindi gli investimenti sono più nominali che di fatto; i margini in calo da otto trimestri sono un campanello d'allarme che non si può ignorare.
Pertanto, qualche spiraglio sul fronte privato non basta a controbilanciare la zavorra dei conti pubblici. Serve una strategia credibile di controllo della spesa e di sostegno alla redditività se si vuole evitare che il 2025 si chiuda con un quadro macro più cupo di quello appena descritto.