l’art designer Mattia Frignani, si racconta attraverso le domande dello psicologo ed amante d’arte, Jonas W. Bendaou

Mattia, siamo oggi qui nel bellissimo spazio Epipla, nel centro di Milano, in cui esporrai le tue opere anche per il fuori salone. Ho visto le tue opere e ascoltato la tua storia. Mi colpisce molto il tuo modo di costruire, così legato alla percezione e all’esperienza. Soprattutto, mi appassionano le spinte emotive. “Quale è stato lo stimolo iniziale che ha portato a dedicarti alla produzione di pezzi unici di design?


In realtà lo considero un caso: ho avuto due figure di riferimento, i miei fratelli maggiori, con una decina d’anni in più di me, che hanno intrapreso un percorso artistico già da adolescenti. Sono quindi cresciuto in questo ambiente creativo, ma soprattutto pratico. Già da quel momento ho iniziato ad usare le mani per creare, non importava cosa, per me il gesto del creare non era solo un mezzo, ma un momento di contatto con la materia e con la tecnica importantissimo da vivere, che mi permetteva di dare sfogo alla fantasia. L’ho sempre considerato un gesto liberatorio, un esternare la mia creatività.

Mi sentivo l’inventore, frugavo nelle spazzature per costruire da una bicicletta a un aereo… Poi, negli anni Novanta, i miei fratelli aprirono Wunderkammerstudio, luogo di ricerca artistica, mi sono affiancato a loro da subito, arrivando a lavorare con artisti e architetti… Sempre piccole produzioni, pezzi unici e serie limitate, sempre mantenendo il valore artigianale.

Scoprirti è un percorso affascinante. Sono rimasto colpito da quel “tutto è nato per caso”. Ad osservare in profondità, la passione crea sempre le condizioni per trovare una via. Tutto è iniziato davvero per caso?
Che dire? Mi spiazzi. In effetti la mia passione mi ha sempre portato a trovare cosa creare poi, in divenire, le sperimentazioni. Quelli che potrebbero essere visti come pasticci casuali sfociano sempre in pezzi unici.

Sì. Probabilmente, a guardarmi indietro, ho cercato esattamente la strada che portavo dentro fin da bambino.

- Bronzo rigato -

Veniamo alla produzione. In alcune correnti del pensiero psicologico l’insieme è differente rispetto alla somma delle singole parti. Parlami di come la vedi e di cosa ti affascina di più in tutto questo?
Amo tutto il processo. Dall’idea che si scontra con la tecnologia disponibile, all’ingegnerizzazione per arrivare al prototipo e infine al prodotto finale. Le finiture, la texture e le superfici hanno anch’esse un’importanza fondamentale. Il mio mondo entra in contatto con il tuo praticamente in ogni momento. Perché mi muovo in funzione di sensazioni, emozioni, intenzione, motivazione. Giorgia ed Annalisa, qui in Epipla, hanno sentito ogni particella di me ed hanno voluto esporre in questo magnifico atelier il risultato della mia ricerca e, probabilmente, la mia storia. Sono felicissimo di essere a Milano. Sono felicissimo di essere al centro delle loro attenzioni.

Mi piace molto questa tua riflessione, in grado di parlare di assetti emotivi e visioni. E mentre parlavi ho pensato che tra la visione ed il pezzo finito ci sono le mani. Le guardavo con attenzione. L’usura, la fatica. Le tue mani parlano molto del tuo lavoro e del tempo. Sono parte integrante di questo spirito creativo.
Sì. Le mie mani riflettono l’importanza per me del “Fare”. Creare mentre fai, entrando nella visione più concreta delle cose, quella più fattiva. Sai cosa penso? Penso che questa materialità ha sicuramente una vena introspettiva, quasi romantica del contatto con la materia. Senza tutto questo non considererei totalizzante l’esperienza nella produzione dei miei pezzi.

Veniamo ad una cosa a cui tengo molto. Come psicologo sono abituato ad associare parole all’esperienza. Se tu fossi di fronte ad una platea di studenti pronti ad entrare nel mondo dell’arte, quale parola utilizzeresti per descrivere il percorso che conduce alla realizzazione di un’opera?”
Che dire, senza pensarci troppo, posso dirti: “FATICA”.

Ho sempre associato questa parola all’arte, fin da piccolo, quando i miei genitori, grandi amanti dell’arte, mi portavano nei grandi musei del mondo. Le sculture, i bassorilievi, le chiese, qualsiasi opera per me è stata fatta da “aggressori della materia”.

Agli studenti direi che la fatica è parte integrante di qualsiasi processo creativo, e che non basta solo il talento. L’attitudine va sollecitata, educata. È necessario lo sforzo, la costanza.

Infine consiglierei loro di vedere la materia nella sua forma più romantica, viva. Perché se questa è la visione, allora sarà più facile trasformare e rimanere appagati da un risultato che, ritornando alla tua gestalt, è fenomeno sovraordinato rispetto alla somma dei suoi componenti.